Il diritto vigente si è incaricato di smantellare gradualmente la concezione reale di pagamento. Quanto alla prassi la direzione di marcia è di considerare, quali equivalenti e\o sostitutivi del trasferimento materiale di denaro, l’acquisto di diritto di credito e\o comunque di diritti di prelievo verso soggetti dotati di particolare “affidabilità”, quali per antonomasia sono gli istituti bancari e simili. Passaggio intermedio può considerarsi l’uso di assegni e\o di titoli di credito, in cui il pagamento è ancora affidato al possesso di cose, equiparate ai beni mobili ai fini della regola “possesso vale titolo”. Trattasi tuttavia di cose perché costituite da documenti rappresentativi di crediti in essi incorporati. Il vantaggio è di far circolare tali crediti alla stessa stregua di cose.

La regola del diritto codificato secondo cui il pagamento con assegni necessità del consenso del creditore, trattandosi di datio in solutum, tende sempre ad essere erosa dalla contro regola di matrice consuetudinaria che giudica ormai superfluo quell’assenso e ciò anche alla stregua di un principio di correttezza e buona fede. Al binomio effetto solutorio-risultato satisfattorio sembra invece apportare deroga la normativa recente sull’uso del contante e dei titoli al portatore (n. 197 del 1991) la quale vieta il trasferimento tra privati di denaro contante e di titoli al portatore ove il valore da trasferire superi complessivamente i venti milioni e autorizza invece tale trasferimento per il tramite di intermediario abilitato. Ai sensi di tale normativa il debitore è liberato dall’obbligo allorquando ha comunicato al proprio creditore che l’intermediario ha accettato la disposizione recante l’incarico affidatogli.

In linea di massima si può dire che la tendenza è di considerare un sistema di accordi e\o di intese purché intercorse con soggetti particolarmente abilitati e quindi affidabili, quali equipollenti delle forme tradizionali di trasferimento del denaro. In una delle prime trattazioni aventi per oggetto la moneta (1928) l’autore metteva le mani avanti, nel dichiarare di non voler offrire una minuta trattazione giuridica del tema ma, più modestamente, una serie di rilievi. Tuttavia l’opera dello studioso non si concluse negli anni trenta ma solamente trenta anni dopo (1063), allorquando iniziò a commentare le obbligazioni pecuniarie per il nuovo codice del 1942, pur nella consapevolezza che, trent’anni dopo, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale e nel contesto del boom economico degli anni sessanta, le preoccupazioni sarebbero state ben altre, e perciò anche diversi i caratteri del commento e del volume del 1928.

La legislazione ha provveduto, essa, a demolire buona parte di un sistema teorico così faticosamente elaborato e, segnatamente, muovendo dal principio nominalistico, ha introdotto in esso brecce, più o meno significative, e così di volta in volta legittimando tecniche di valorizzazione dei crediti o manovrando il tasso di interesse. Ma il vero è che la manovra della moneta, specie ove considerata in un contesto europeo, sfugge ormai al manovratore nazionale, per passare a quello europeo. Il che induce a ritenere che un qualsiasi contributo sistematico sulle obbligazioni pecuniarie andrebbe oggi riscritto. La moderna dottrina delle obbligazioni pecuniarie sembra aver abbandonato il modello dell’obbligazione di cose, per tornare ad una forma di obbligazione che vede nell’obbligazione pecuniaria principalmente la garanzia del conseguimento di un astratto potere patrimoniale, ossia di un potere sulle cose del mondo.

Ebbene il sistema giuridico e in particolare il diritto delle obbligazioni forniscono alla funzione universalmente accettata i congegni opportuni per assicurare l’osservanza e l’effettività dei risultati. Si può inoltre dire che lo stesso principio del valore nominale appartiene più alla legge della moneta, in quanto depositaria di un valore imposto dallo Stato, che a quella di obbligazione. Secondo la legge dell’obbligazione, la moneta, pur considerata quale mezzo di pagamento, dovrebbe mantenere costante la sua ragione di scambio con beni e utilità. Se quella ragione di scambio dovesse invece successivamente alterarsi e in misura non indifferente, l’obbligazione ne dovrebbe tenere di conto, anche per il rispetto dovuto alla volontà delle parti.

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