La disposizione dell’articolo 1395 c.c. ,come si è avuto modo di constatare, introduce due tipologie possibili e differenti di contratto con se stesso: il rappresentante può contrarre in proprio, soddisfacendo un suo interesse specifico; ovvero può contrarre per conto di altro rappresentato, sempre in veste di rappresentante.

Atteso che il trattamento sanzionatorio, in entrambi i casi è il medesimo (si ricorre all’annullamento del contratto, a meno che non intervenga esatta autorizzazione da parte del rappresentato),non si ignora che tali circostanze comportano delle difficoltà di comprensione:

  1. l’annullabilità del contratto, nel caso in cui il rappresentante stipuli per conto proprio, è messa in debita discussione dal fatto che il rappresentato ben può conferire un incarico al rappresentante, che oltre a soddisfare l’interesse del primo, possa soddisfare anche l’interesse del secondo, senza per questo essere illecito;
  2. ed è altrettanto dubbia (se non ancora in misura maggiore) l’annullabilità del contratto che il rappresentante stipula in qualità di rappresentante di altro soggetto, essendo in questo caso assolutamente escluso ogni riferimento ad un interesse personale del rappresentante, che pure deve esistere ed essere in contrasto con quello del rappresentato (in questo caso il procurator si rende ancora una volta manifesto della volontà altrui, ma non ne esercita una propria).

E vi è di più: anche l’articolo 1395 introduce una ipotesi di conflitto d’interessi, proprio come per l’articolo 1394,che in questo modo viene considerato il genus del fenomeno, il bacino contenente la disciplina generale, laddove, invece,il primo articolo rappresenta una species dello stesso: in altri termini, il contratto con se stesso rappresenta uno dei modi concreti attraverso i quali il conflitto d’interessi si realizza concretamente.

Tale legame comporta che anche il contratto con se stesso, come tutte le situazioni di conflitto d’interesse, necessita (per poter essere oggetto di annullamento) di essere effettivamente eseguito con abuso del potere di rappresentanza; di fatti,un rappresentante può ben stipulare un contratto per conto proprio (quindi di fatti realizzando ipoteticamente la situazione di conflitto),rispettando però fedelmente l’incarico conferitogli dal rappresentato, e senza ledere i suoi interessi: in questo caso, pertanto, il contratto con se stesso non potrà essere annullato.

L’articolo 1395 c.c. ,nel suo testo specifico, elenca due presupposti di validità del contratto con se stesso; si afferma che il contratto con se stesso, pur essendo generalmente invalido, può essere stipulato validamente quando:

  1. ricorra espressa autorizzazione del rappresentato in tal senso;
  2. il contratto possa essere determinato, in tutto il suo contenuto, in modo preciso.

Se ne deduce, a contrario, che un contratto con se stesso stipulato senza il ricorrere di tali presupposti, deve considerarsi invalido. Ma cosa accadrebbe qualora un contratto con se stesso, pur stipulato in difetto di tali presupposti, sia stato realizzato dal rappresentante fedelmente al suo incarico? Il contratto sarebbe comunque invalido per mancanza dei suddetti presupposti? Tale ipotesi è da escludere: i presupposti di validità non hanno alcuna funzione esclusiva della validità di un contratto stipulato con se stesso, ma con ciò non significa che non si debba indagare il diverso incarico che nell’economia del contratto è loro conferita.

Innanzitutto, è necessario porre l’accento sul fatto che i due presupposti non possono essere assolutamente indicati come distinti e separati: il contratto con se stesso non salva la propria validità sulla base dell’esistenza di uno soltanto dei seguenti requisiti; è necessario che sussistano entrambi. E non potrebbe essere diversamente: il rappresentato, di fatti, può autorizzare il rappresentante a contrarre con se stesso, solo quando sia perfettamente consapevole delle determinazioni contrattuali che va ad autorizzare, in modo da valutare che esse gli arrechino il minor danno possibile.

In particolar modo, con riguardo al presupposto della autorizzazione del rappresentato nei confronti del rappresentante con se stesso, è opportuno avanzare determinate precisazioni:

  1. l’autorizzazione non può e non deve essere considerata come uno strumento che rende efficace la posizione del rappresentante, nel senso di conferire a questi la legittimazione ad agire: il rappresentante non è sprovvisto (o provvisto solo parzialmente) della legittimazione ad esercitare la procura, e dunque non necessita di agire solo dietro autorizzazione del suo dominus (tanto è che anche un contratto con se stesso, concluso senza alcun tipo di autorizzazione, deve considerarsi comunque validamente determinato, al di là poi del fatto potrebbe realizzarsi con abuso del potere rappresentativo;
  2. l’autorizzazione deve essere intesa come uno strumento giuridico esplicante effetti negativi sulla situazione istante: in altri termini, mediante l’autorizzazione il rappresentato provvede ad eliminare gli effetti abusivi dell’autocontratto (laddove possano venire ad esistenza); dunque non può svolgere una funzione costitutiva, poiché dalla sua realizzazione non discende la nascita di alcuna tipologia di contratto; essa interviene solo su un contratto già esistente, possibilmente tacciato di annullabilità, eliminando tale patologia.

Il compito specifico cui assolve l’autorizzazione non è quello di porre in essere una tipologia di contratto sprovvista di ogni possibile causa patologica, che possa condurla all’annullabilità (dunque non garantisce la nascita di un contratto con se stesso perfettamente valido); il suo compito è quello di incidere successivamente sul contratto con se stesso, impedendo che vengano a realizzarsi quelle specifiche cause patologiche che possono condurlo alla annullabilità. Dunque, deve concludersi che la mancanza dell’autorizzazione non è chiaro sintomo di invalidità del contratto con se stesso, ma certamente la sua presenza costituisce un ottimo presupposto per la sua validità (il contratto con se stesso potrebbe anche essere invalido, ma l’autorizzazione ne impedisce tale effetto).

Nel momento in cui il rappresentato concede l’autorizzazione ad autocontrarre, lo stesso avrà avuto modo di rassicurarsi sul contenuto del contratto e sulle sue modalità di svolgimento, in maniera tale da non agire in modo da procurarsi un danno. Qualora tale premura il rappresentato non abbia adottato, gli effetti abusivi di un contratto con se stesso ricadranno su di lui, e lo stesso ne avrà colpa per essere stato incauto nello stabilire il contenuto del contratto, in modo che questo non potesse danneggiarlo.

In caso contrario, ovvero quando il rappresentato sia stato capace di previamente determinare il contenuto del contratto, e sulla base di questo valutare in che modo concedere l’autorizzazione ad autocontrarre in modo da non esserne danneggiato, allora (benché sia ardua la realizzazione di un abuso) deve dedursi che la stessa sia stata concessa proprio allo scopo di evitare ogni realizzazione abusiva in tal senso. Ad ogni modo, per quanto avventato possa essere stato nel concedere l’autorizzazione, senza prima accertarsi di essere in condizione di non subirne danno, il rappresentato avrà comunque la facoltà di richiedere il risarcimento del danno subito.

Il contenuto dell’autorizzazione non deve indicarsi con il contenuto contrattuale: non è posta illegittimamente una autorizzazione che non richiami, al suo interno, l’intero contenuto contrattuale cui si riferisce (come normalmente si ritiene); è invece illegittima una autorizzazione che sia posta in maniera generale, con riferimento a tutti i possibili aspetti del contratto, laddove invece sarebbe necessario fissare l’autorizzazione per un singolo, specifico affare.

Allo stesso modo deve considerarsi l’autorizzazione come un atto separato dalla procura, che conferisce il potere rappresentativo, che il rappresentato può redigere su altro documento distinto e separato, e che può concedere anche successivamente all’atto di procura.

Una tipologia di autorizzazione alquanto particolare è quella cd. tardiva: può accadere che il rappresentato conferisca l’autorizzazione ad autocontrarre successivamente al momento in cui il rappresentante abbia effettivamente realizzato il contratto con se stesso. Tale tipologia di autorizzazione, se interviene (come nella maggior parte dei casi avviene) a disciplinare un contratto con se stesso, già concluso e peraltro produttivo di effetti abusivi, non si esclude che operi in forma di una vera e propria espressa convalida, eliminando a posteriori i danni creati dalla situazione abusiva.

Il secondo dei presupposti di validità del contratto con se stesso, come si è avuto modo di vedere, consta della possibilità, da parte del rappresentato, di determinare il contenuto del contratto, in modo da premurarsi avverso ogni possibile abuso.

Nel momento in cui il rappresentato determina l’assetto contrattuale in ogni sua parte, gran parte della dottrina ha affermato che ciò comporta la degradazione del rappresentante a mero nuncius (o portavoce); tale determinazione è inammissibile, poiché nessun contratto può essere determinato perfettamente in tutto il suo contenuto, né può essere solo il frutto dell’operato del rappresentato: non si esclude, infatti, che il contenuto contrattuale possa essere determinato,seppure limitatamente, anche dal rappresentante.

Tale ultima circostanza comporta che il ruolo del rappresentante in un contratto così determinato non è di mero latore dell’altrui volontà, ma comporta anche una partecipazione alquanto attiva alla realizzazione del contratto, il quale però,così determinato, ha minori probabilità di scaturire in un contratto illecito o abusivamente realizzato.

Il presupposto relativo alla determinazione del contenuto contrattuale ha quale scopo di evitare in nuce la realizzazione dell’abuso del potere rappresentativo (laddove, invece, l’autorizzazione non esclude che un abuso possa verificarsi, semplicemente ne inibisce la verificazione di effetti deleteri sul contratto concluso con se stesso); e per lo stesso motivo, laddove in caso di autorizzazione l’abuso, reso inefficace, non può giammai condurre all’annullabilità del contratto; in caso di determinazione del contenuto, l’abuso potrebbe verificarsi nonostante tutto, e siccome non ne è stata inficiata la validità, agire sul contratto, annullandolo.

Come si vede i due presupposti di validità devono essere tenuti assolutamente distinti, nella tipologia strutturale, nella funzione, nonché negli effetti.

Nel momento in cui il rappresentato, che sia stato vittima di una stipulazione contrattuale abusivamente conclusa con se stesso da parte del rappresentante, intenda far valere in giudizio una simile determinazione, l’onere della prova, nei suoi riguardi, muterà d’ordine.

Generalmente, colui che si pone quale richiedente di tutela presso il giudice è tenuto a fornire a questi la prova di quanto egli avanzi in giudizio e del quale egli richieda l’annullamento; poiché però, in questo specifico caso, il rappresentato soffre di una situazione particolarmente gravosa ai suoi danni, lo stesso godrà di un carico probatorio meno oppressivo, al punto che questi dovrà solo dichiarare in giudizio dell’esistenza di un contratto concluso con se medesimo da parte del rappresentante, in suo danno; mentre, spetterà al convenuto rappresentante dimostrare che la sua contrattazione non è avvenuta con abuso del potere rappresentativo.

Ciò consente al rappresentante di dimostrare che il suo agire nei confronti del rappresentato, per quanto di sia reso autore di un contratto con se stesso, non è stato eventualmente condotto in violazione di alcun obbligo a lui conferito, o comunque dell’interesse del rappresentato. E tale circostanza è fondamentale soprattutto se si considera che, nel caso di contratto con se stesso, molto più alte sono le probabilità e le presunzioni del rappresentato avverso l’agire abusivo del rappresentante.

Per ciò che attiene la posizione del terzo rispetto al contratto con se stesso stipulato dal rappresentante, di cui sia avente causa, può ben affermarsi che lo stesso fosse totalmente ignaro dell’esistenza di un conflitto d’interessi in capo al rappresentante stesso, e che perciò egli non ha agito in malafede; tale ultima precisazione comporta che ai terzi non è possibile opporre l’annullamento del contratto, i cui effetti, nei loro confronti, devono essere intesi come salvi.

E’ possibile operare sul contratto mediante risoluzione: ciò perché, pur non esistendo una duplicità di parti contrattuali (delle quali l’una possa richiedere la suddetta risoluzione in danno dell’altra),si realizza che il contratto è comunque bilaterale (nel senso in cui abbiamo già avuto modo di parlare).

In tema di interpretazione del contratto, va detto che tale tipologia contrattuale non si discosta granché dai canoni interpretativi predisposti per qualsiasi tipo di contratto:

  • sulla base dell’interpretazione soggettiva, va detto che il contratto con se stesso deve preferibilmente essere interpretato secondo canoni di buona fede; così come non si esclude che al suo interno possa comunque indagarsi sulla comune intenzione delle parti, essendo questo un criterio, che per quanto adatto principalmente ai contratti conclusi mediante accordo, non è esplicitamente determinato solo per questi, così da potersi adattare secondo le diverse situazioni;
  • sulla base dei canoni di interpretazione oggettiva non si disdegna di applicare la regola per la quale il contratto, qualora si presenti oscuro, deve sempre essere interpretato a svantaggio dello stipulatore (in questo caso il rappresentante) ed a vantaggio dell’obbligato (quando sia a titolo gratuito),ovvero in modo da realizzare il contemperamento delle parti (qualora sia a titolo oneroso).