Tra i diritti reali di godimenti su cosa altrui (iura in re aliena) distinguiamo quelli che attuano una ingerenza nel godimento del bene, tanto da limitare le facoltà spettanti al proprietario come le servitù, da quelli che sottraggono al (nudo) proprietario l’intero godimento del bene, come l’usufrutto.

Questa classificazione meramente descrittiva ci dice come i cd. diritti minori vadano differenziati per struttura e contenuto. Ciò nonostante conviene soffermarsi su alcuni profili generali.

In primo luogo, le indagini sui diritti reali di godimento hanno precisato la funzione di limite che questi esercitano sul diritto del proprietario.

Invece, con la formula “diritti frazionari” si intende rappresentare il contenuto di questi diritti come frazione del contenuto di proprietà. La proprietà viene considerata come un corpo elastico che può essere compresso dai diritti reali minori ma si riespande al cessare di questi. Unitamente a questa veduta muove la costruzione dei negozi derivativo – costitutivi dei diritti minori come negozi attraverso i quali si attua un trasferimento parziale di facoltà spettanti al proprietario, anziché del diritto in toto. Tuttavia, per un verso il diritto costituito deriva da quello del costituente, ma è vero anche che esso è qualitativamente diverso in quanto è la risultante della sintesi e non della somma della facoltà trasferite (Pugliatti).

Diventa preferibile quindi cercare le note specifiche che consentono di distinguere il diritto minore dalla proprietà. Può aiutare il ricostruire tecnicamente queste sfere di competenza nel quadro di relazioni intersoggettive che scandiscono il contemporaneo esercizio dei poteri del proprietario e del titolare del diritto minore.

Sembra inevitabile, a questo punto, rifarsi allo schema del rapporto obbligatorio, per vari motivi.

Deporrebbe a favore della collocazione dei diritti minori nell’area delle obbligazioni il fatto che questi siano tutti prescrivibili per non uso ventennale ed è noto che la prescrizione operi solo sui rapporti obbligatori. Tuttavia sembra una forzatura. Infatti è vero che la prescrizione appartiene alla teoria delle obbligazioni, ma ciò non significa che esso assorba ogni altra considerazione in tema, relegando in posizione secondaria tutte le altre norme della disciplina. Infatti si può osservare che la prescrizione per non uso ventennale ripeta lo schema dell’usucapione.

Una estensione della disciplina delle obbligazioni ai diritti reali minori sembrerebbe rinvenirsi nell’art. 1001 2°co c.c. secondo il quale l’usufruttuario deve usare nel godimento della cosa la diligenza del buon padre di famiglia, regola tipica delle obbligazioni. Tuttavia non si può parlare di diligenza della condotta solo in riferimento al debitore e non anche con riguardo al corretto esercizio di una situazione di potere o competenza.

La questione non è semplice, in quanto ci sono molti indizi contraddittori. Analizziamo quindi per bene la tesi che costruisce i diritti reali minori richiamando lo schema del rapporto obbligatorio.

Questa resi parte dalla constatazione che l’interesse del titolare di un diritto reale limitato si determini in concreto solo in rapporto con altro soggetto antagonista interessato all’utilizzo del bene. Resta tuttavia sfumata la relazione del titolare del diritto reale minore nei confronti di terzi privi di interesse diretto. Quindi le azioni reali sarebbero esperibili solo contro i soggetti investiti di altro diritto reale sulla cosa in quanto sono gli unici in grado di contrastare l’esercizio del diritto reale limitato, invece l’azione per danni sarebbe esperibile contro tutti i terzi la cui ingerenza sarebbe violazione ex art. 2043 c.c.

La tesi parte da una premessa corretta quando richiama l’attenzione sul potenziale conflitto tra l’interesse sulla cosa del titolare di un diritto minore e l’interesse sulla medesima cosa del proprietario. Questa premessa, se aiuta a precisare il contenuto del diritto reale minore e a precisare alcuni aspetti del modo di esercizio, tuttavia nulla dice sul carattere reale del diritto minore. Non pone in evidenza la speciale protezione che a questi diritti è accordata sia sotto il profilo dell’opponibilità che del diritto di seguito.

Non è chiaro in base a quale motivo le azioni reali promosse dal titolare di un diritto reale minore competerebbero solo con il proprietario o il titolare di altro diritto reale contrapposto, mentre quella aquiliana resterebbe a contrastare il fatto dannoso del terzo. Da tale angolo visuale, l’azione reale presuppone un conflitto proprietario con effetti di accertamento erga omnes, mentre nell’azione risarcitoria non viene in discussione la titolarità del diritto o la modalità d’esercizio in quanto si deve dimostrare solo la qualità di avente diritto alle utilità della cosa che altri abbia a distruggere o danneggiare e la sentenza avrà efficacia solo tra le parti.

La tesi secondo cui il titolare del diritto minore può esercitare l’azione reale solo contro il titolare del diritto maggiore ripete una posizione processualcivilistica formatasi in tema di azioni di mero accertamento dei diritti reali. Questa posizione, per ovviare all’assurdo di un giudizio di accertamento della proprietà nel quale vengano a costituirsi tutti gli omnes, ritiene di poter estrapolare una regola che ordini diversamente il giudizio individuando quali legittimati passivi nella rivendica i possessori e/o detentori, nella negatoria coloro che affermano diritti sulla cosa, nella confessoria servitutis il proprietario del fondo servente. Non ci sembra che da essa si possa a priori dedurre la configurazione dei diritti reali minori prescindendo dall’esame dei conflitti che in concreto si delineano e dal conseguente tipo di provvedimento invocato.

Gli argomenti addotti fanno ritenere che la configurazione dei diritti reali minori come diritti di obbligazione non renda giustizia della complessità strutturale di questi diritti, il cui titolare può avere necessità di cooperazione altrui.

Le considerazioni appena svolte ci consentono di fissare alcuni punti fondamentali. Il primo punto è quello proposto dall’idea che i diritti reali minori non siano frazioni del diritto di proprietà, ma figure dotate di fisionomia propria. Ancora attendibile sembra l’affermazione secondo cui il titolare del diritto reale minore soddisfi il proprio interesse indipendentemente dalla collaborazione di altri. Gli obblighi previsti a volte a carico del proprietario o del titolare del diritto reale minore non sono sufficienti a garantire una identità sufficiente a trascrivere questi diritti minori nella vicenda del rapporto obbligatorio.

Nei diritti reali ci sono obblighi riconducibili a rapporti giuridici ma il diritto non si risolve nel rapporto obbligatorio; secondo Niccolò la funzione dell’obbligo del debitore è, sia nei diritti reali che in quelli di credito, protesa a garantire l’attuazione del diritto, mentre sotto il profilo del contenuto l’elemento di diversità si rinviene nel fatto che nei diritti reali la specificazione essenziale consiste nella “possibilità di conservazione ed esclusione”, diversamente dai diritti di credito che mirano a “conseguire una prestazione”. Il concorso di più diritti reali su una cosa appare governato da schemi di collegamento funzionale che delimitano i rispettivi contenuti e modalità di esercizio. Esempi sono l’obbligo dell’usufruttuario di godere della cosa con diligenza e di sostenere le spese necessarie.

Tuttavia gli abusi dell’usufruttuario comportano un meccanismo sanzionatorio diverso da quello previsto per l’inadempimento delle obbligazioni. E’ opinione prevalente che lo schema dell’usufrutto, più che esprimere una scissione tra proprietà e gestione, serve soprattutto a regolare taluni rapporti nell’ambito della famiglia, ovvero a realizzare una liberalità; gli obblighi posti a carico dell’usufruttuario hanno lo scopo preminente di conservare le ragioni del nudo proprietario sulla cosa e il carattere reale del diritto consente all’usufruttuario di potere esercitare il suo diritto senza la necessità di collaborazione da parte del proprietario.

Vi sono ipotesi in cui è ravvisabile l’operare di situazioni riportabili ad un vero e proprio rapporto sinallagmatico, diverse da quelle che evocherebbero un rapporto obbligatorio. L’esempio più lampante è quello dell’obbligazione dell’enfiteuta di pagare il canone e migliorare il fondo (artt. 960 e 961 c.c.) che è fronteggiata dalla possibilità data al concedente di chiedere la devoluzione se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone (art. 972 1° co c.c.) e dall’introduzione di una clausola risolutiva espressa che il concedente può far valere in caso di inadempimento dell’enfiteuta (art. 973 c.c.)- Senza dubbio si tratta di un istituto nella pratica in via d’estinzione, ma resta notevole il fatto che nell’enfiteusi sia individuabile un complesso rapporto che si sostanzia in un lato reale e in un lato obbligatorio connessi l’uno all’altro.

I diritti reali su cosa altrui possono costituirsi a titolo originario o a titolo derivativo: quest’ultimo sia traslativo (salvo il divieto di cessione per il diritto di abitazione e uso) che costitutivo. Va ricordato:

a) che la proprietà non conosce acquisti a titolo derivativo – costitutivi ma solo acquisti derivativo – traslativo;

b) che per gli acquisti derivativo – costitutivi dei diritti reali minori la disciplina è sufficiente a far nascere il corrispondente diritto ove le parti abbiano taciuto d’altro.

Varie disposizioni consentono, tuttavia, di integrare la disciplina legale dei diritti reali minori con regole pattizie; per esempio l’art. 957 1° co. in tema di enfiteusi concede alla parti la possibilità di disporre diversamente anche se in limiti angusti, oppure in tema di superficie espressamente è previsto che il titolo convenzionale possa determinare il modo d’essere della proprietà superficiaria sulla costruzione con riguardo alla durata, alle caratteristiche del bene da realizzare e alla disciplina. In uno studio di Piazza in tema di superficie è stato messo in risalto che le disposizioni in esame assecondano gli interessi particolari dei privati anche attraverso lo strumento meno duttile del diritto reale. Da tale visuale, gli acquisti a titolo derivativo – costitutivi presentano una duttilità che non è concepibile per gli acquisti a titolo originario e derivativo – traslativi sulla proprietà.

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