Conformemente alla direttiva, il Codice del consumo prevede al 122.1 che al concorso del fatto colposo del danneggiato si applica il 1227 (Concorso del fatto colposo del creditore).

In maniera non necessaria e fuorviante il 122.2 aggiunge che Il risarcimento non è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto.

Ciò è una deviazione dalla direttiva, deviazione oltretutto viziata di contraddittorietà perché finisce con l’adottare come scriminante in favore del produttore proprio quel comportamento di uso del prodotto in funzione del quale quest’ultimo è stato approntato e messo in circolazione.

Pare eccessivo riconnettere all’assunzione del rischio una totale esclusione della responsabilità, quando l’ordinamento abbia consentito istituzionalmente il rischio stesso invece di vietarlo.

Chi lo introduce nella società sa che esso potrebbe esser vietato ma non lo è, perciò accetta di pagarne i costi.

Quanto al consumatore, non si può dire perciò che si assume a sua volta il rischio, piuttosto casomai che accetta di correrlo insieme a colui che l’ha introdotto.

La totale esclusione della responsabilità è sproporzionata rispetto alle fattezze del fatto.

Dal punto di vista sistematico, poi, un’assunzione del rischio che, diversamente dal concorso di colpa, non “diminuisce” il risarcimento, secondo l’espressione del 1227 (Concorso del fatto colposo del creditore), ma lo esclude totalmente, pone la questione, anche di legittimità costituzionale, come mai solo per la responsabilità del produttore debba valere l’assunzione del rischio come causa di esclusione della responsabilità, laddove in generale la disciplina rimane quella dettata dal 1227.

Altra sarebbe la questione se l’assunzione di rischio fosse adottata come causa di esclusione della responsabilità, come prevedono i Principi di diritto europeo.

Il rischio da fumo

Il 122.2 Cod. cons. non è applicabile alla lesione della salute provocata dal fumo.

Sul punto non vale perciò l’affermazione fatta da Trib. Roma 11 febbraio 2000 secondo la quale, essendo la nocività del fumo di comune esperienza, se ne avrebbe una “consapevole accettazione” da parte del consumatore, utilizzata dal giudice per escludere la responsabilità del produttore.

{Negli Stati Uniti la Corte suprema nel 1992 nel caso Cipollone v. Liggett Group, Inc. s’è limitata a verificare se, stante la legislazione federale che imponeva a chi mettesse in circolazione sigarette di apporre la scritta “Caution: cigarette smoking can be hazardous to your health”, si potesse inferire una responsabilità del produttore per omissione di avvertenze, concludendo che su questo terreno non si era verificata alcuna violazione.

Analoga la posizione di Trib. Roma 14 aprile 1997, e l’assunto è ripetuto da Trib. Roma 11 febbraio 2000.

Ma se l’omissione è tale solo quando la legge impone la condotta mancata, onde nella specie non era possibile parlare di omissione, è verò però che una condotta dovuta a negligenza, imprudenza, imperizia (43.1 c.p.: Elemento psicologico del reato) va qualificata colposa: e tale è la condotta di chi crea una situazione di pericolo e non adotta le misure idonee a consentire di guardarsene (secondo questo modello in Germania sono state elaborate le Verkehrspflichten).

Per un giudizio definitivo sulla responsabilità occorre dunque accertare se l’avvertenza circa la dannosità del fumo esaurisca tutto ciò che è necessario fare da parte di chi crea il rischio originario.

Sia applicabile o meno il 2050 (Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose) (nella specie lo negano le due sentenze), il principio che ne sta alla base – adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno – sembra essere un principio generale}.

L’assunzione di rischio non fa parte dell’armamentario generale della nostra responsabilità civile, e perciò non può essere utilizzata quando si tratta di applicare le regole del Libro IV, Titolo IX, come è accaduto nel caso di specie in relazione al tempo in cui i fatti si sono verificati.

La totale neutralizzazione degli antecedenti causali che se ne intende ricavare, con la conseguente esclusione della responsabilità, risulta eccessiva nei casi in cui il concorso da parte del danneggiato, come accade in materia di fumo, sia coessenziale allo svolgimento dell’azione causante e da essa inscindibile.

Non basta dire che tra la vendita delle sigarette e la morte del fumatore si inserisce un fattore “determinante”, costituito dall’azione del fumare (come dice, ancora, Trib. Roma 11 febbraio 2000).

Si tratta di fattore causalmente rilevante, ma, nei termini del 41 c.p. (Concorso di cause), non sufficiente da solo a determinare l’evento.

Per giungere alla totale esclusione della responsabilità occorre che la cosiddetta assunzione del rischio diventi la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento che, in quanto ascrivibile al danneggiato, secondo il 41.2 c.p., neutralizzi la causalità risalente al soggetto che ha creato il rischio.

Tale sufficienza nel danno da fumo ricorrerebbe qualora esistessero in commercio sigarette sicuramente inidonee a procurare il cancro ed il fumatore insistesse nel fumare quelle dannose.

Certo ogni fumatore sa che la sostanza che inala fumando non è propriamente salutare, ma questo, quando si debba applicare la disciplina generale del Codice civile, può solo limitare la responsabilità nei termini del 1227 (Concorso del fatto colposo del creditore).

Un’accettazione del rischio che pur possa dirsi tale non è in grado di neutralizzare la responsabilità: questo significherebbe escluderla in ogni caso in capo a chi sistematicamente continua ad attivare la causa originaria fidando proprio su un’assunzione del rischio in grado di esonerarlo da responsabilità.

La stessa assunzione del rischio, poi, mancherebbe del suo presupposto fondamentale, costituito dalla libertà di colui che sceglie di correrlo.

Poiché il danno alla salute conseguente al fumo non si verifica se non dopo un periodo più o meno lungo di “vizio”, nel frattempo il fumo ha potuto creare quella assuefazione che impedisce o rende molto difficile smettere di fumare e perciò la scelta contraria all’assunzione del rischio.

Quanto detto ora vale anche quando si tratta di applicare al danno da fumo la Parte IV (Sicurezza e qualità), Titolo II (Responsabilità per danno da prodotti difettosi; artt. 114-127).

La sigaretta sarà sempre un prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere (117 Cod. cons.: Prodotto difettoso), perché è vero che il consumatore è ormai pubblicamente avvertito della sua dannosità fin dal momento in cui prende in mano il pacchetto, ma la dannosità intrinseca ed ineliminabile del prodotto tinge di culpa in re ipsa la messa in circolazione del medesimo.

E se l’assunzione del rischio non è in grado di neutralizzare la responsabilità, la regola del 1227.1 consentirà di ridurre la responsabilità del produttore sulla base della decisione del fumatore, assunta alla stregua di condotta colposa del danneggiato concorrente con la messa in circolazione del prodotto.

 

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