Il principio di responsabilità
Il principio di responsabilità è enunciato dall’art. 28 Cost. che afferma: “ I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali ,civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In alcuni casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Il termine responsabilità, più in generale, è spesso usato dalla normativa in senso più ampio e diverso da quello che emerge dall’articolo 28. Infatti in questo articolo il costituente si riferisce alla assoggettabilità ad una sanzione dell’autore di un illecito. Mentre spesso nelle norme si parla di responsabile per indicare colui che deve rendere conto del complesso dell’attività svolta da un ufficio a lui facente capo. In questo senso va letta la figura del responsabile amministrativo prevista dalla Legge sul procedimento amministrativo. Sicuramente questa figura NON può considerarsi applicazione dell’articolo 28 cost. Infatti il responsabile amministrativo è una figura diretta a soddisfare le esigenze di trasparenza all’interno dell’amministrazione.
Il principio di legalità
Tale principio esprime l’esigenza che l’amministrazione sia soggetta alla legge e si applica a qualsivoglia potere pubblico, in quanto la legge, espressione della volontà generale, si pone alla base di tutte le manifestazioni pubbliche dell’ordinamento. Nel nostro ordinamento giuridico convivono più concezioni di tale principio che può essere considerato nei termini di non contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge ( preferenza della legge). Ad es. i regolamenti amministrativi non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge.
Oppure il principio di legalità può essere inteso in senso formale. In questo caso esprime l’esigenza che l’azione amministrativa abbia uno specifico fondamento legislativo, impostando il rapporto tra legge e amministrazione nel senso di vietare a quest’ultima di contraddire la legge ma anche di dover agire nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il potere. Tale principio si applica ad alcuni atti normativi, quali regolamenti ministeriali.
Per quanto riguarda i provvedimenti amministrativi questi devono rispettare altresì il principio di legalità sostanziale, inteso nel senso che l’amministrazione deve necessariamente agire non solo entro i limiti di legge ma anche in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa, la quale incide anche sulle modalità di esercizio dell’azione. Questa concezione si ricava dalle ipotesi in cui la Costituzione prevede una riserva di legge, che riguarda il rapporto tra Costituzione, legge e amministrazione, imponendo la disciplina legislativa di una data materia e delimitando l’esercizio del potere normativo spettante all’esecutivo.
Il principio di legalità attiene al rapporto tra legge ed attività complessiva della p.a. anche quella non normativa: il mancato rispetto del principio in questione determina l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Il principio di legalità in senso sostanziale ripropone la difficoltà di contemperare due esigenze diverse: da un lato, quella di garantire e di tutelare i privati,. Questa esigenza richiede una disciplina legislativa che penetri all’interno della sfera del potere amministrativo, dall’altro quella di lasciare spazi adeguati d’azione all’amministrazione. In ragione del fatto che il potere si concretizza nel provvedimento si comprende perché il principio di legalità si risolva in quello di tipicità dei provvedimenti amministrativi: se l’amministrazione può esercitare i soli poteri autoritativi attribuiti dalla legge, essa può emanare soltanto i provvedimenti stabiliti in modo tassativo dalla legge stessa.
Il principio di legalità è richiamato dall’art. 1 della legge 241/90 ai sensi del quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficienza, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla l. 241/90, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario. Il comma 3 chiarisce che il rispetto di tali principi va assicurato anche dai soggetti privati preposti all’esercizio dell’attività amministrativa.
Il principio di imparzialità
L’art. 97 pone espressamente due principi relativi all’amministrazione: il principio di imparzialità e di buon andamento, che la norma sembra riferire all’organizzazione amministrativa.
Dottrina e giurisprudenza hanno affermato la natura precettiva e non semplicemente programmatica della norma costituzionale, la quale pone una riserva di legge. Pertanto dottrina e giurisprudenza hanno affermato l’applicabilità diretta dei due principi in esame sia all’organizzazione sia all’attività amministrativa. Il concetto di imparzialità, in negativo, esprime il dovere dell’amministrazione di non discriminare la posizione dei soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura. Il principio postula un comportamento attivo volto alla realizzazione di un assetto imparziale dei rapporti.
L’imparzialità impone innanzitutto che l’amministrazione sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di aparzialità. Applicazioni di tale principio, che si rivolge sia al legislatore che all’amministrazione, sono la posizione dei pubblici impiegati, i quali sono al servizio esclusivo della nazione ( art. 98), l’obbligo di astensione sussistente in capo ai titolari dei pubblici uffici allorché debbano decidere questioni alle quali essi siano interessati.
Il principio pare in via primaria rivolto ad assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa. Concludendo si ribadisce che, proprio perché l’amministrazione è parte, e dunque agisce in vista di un interesse pubblico, occorre che la sua attività sia sottoposta ad un principio, quello di imparzialità, il quale garantisca che il suo agire come parte risulti da un lato sottratto alle deviazioni indebite, dall’altro ragionevole.
Il principio del buon andamento
Sempre enunciato dall’art. 97 Cost., impone che l’amministrazione agisca nel modo più adeguato e conveniente possibile.
Applicazioni di tale principio si rinvengono nella disciplina del lavoro presso le p.a. in tema di razionale distribuzione del personale nelle carriere e della corrispondenza tra livello retributivo e qualifica esercitata; nell’ambito del procedimento amministrativo va richiamato il criterio di non aggravamento di esso se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo sviluppo dell’istruttoria.
Il principio di buon andamento va riferito alla p.a. nel suo complesso, non al funzionario ma all’ente.
I criteri di efficacia, economicità, efficienza, pubblicità e trasparenza. La lotta alla corruzione e all’illegalità.
Accanto ai principi tradizionali di buon andamento e di imparzialità, l’amministrazione deve oggi attenersi anche ai criteri di economicità, efficacia, efficienza, pubblicità e trasparenza. Molti di essi sono contemplati dall’art. 1 della l. 241/90 secondo cui “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficienza, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e da altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.
Si noti che anche i principi comunitari reggono l’attività amministrativa. Essi costituiscono la traduzione di principi costituzionali, diventando veri e propri parametri giuridici dell’attività e dell’organizzazione amministrativa.
Il criterio di efficienza indica il rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse impiegate, e al fine di conseguire maggiore efficienza le amministrazioni incentivano l’uso della telematica nei rapporti interni e in quelli con i privati.
Il criterio di efficacia indica il rapporto tra risultati ottenuti e obiettivi prefissati.
I criteri di pubblicità e trasparenza possono essere riferiti sia all’attività che all’organizzazione, e costituiscono applicazione del principio di imparzialità.
A questi due principi possono essere ricondotti molteplici istituti, tra cui il diritto d’accesso, la pubblicità degli atti, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, l’istituto degli uffici di relazione con il pubblico, la figura del responsabile del procedimento. Infatti la trasparenza, a seguito della L. 150 del 2009 investe ormai ogni aspetto dell’organizzazione.
La legislazione valorizza gli strumenti digitali per la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione delle informazioni (d.lgs. 82/2005). Ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. 82/05, infatti, le p.a., nell’organizzare autonomamente la propria attività, utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, semplificazione e partecipazione.
I principi di trasparenza e pubblicità si sono arricchiti con la normativa in tema di lotta alla corruzione (L. 190/2012 poi d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016). In questo modo la trasparenza è disciplinata non più solo per tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la loro partecipazione all’amministrazione ma anche combattere la corruzione e l’illegalità nella convinzione che queste si annidino proprio dove manca la trasparenza. In questo ambito molti compiti sono assegnati all’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) di cui parleremo più avanti.
La trasparenza penetra anche nell’efficacia giuridica di alcune categorie di atti. Infatti l’art. 14 del d.lgs 33 /2013 richiede la pubblicazione degli estremi degli atti di conferimento degli incarichi a soggetti estranei alla p.a. Per i quali è previsto un compenso. La pubblicazione è condizione necessaria per l’efficacia del provvedimento.
Un problema delicato è quello che attiene il rapporto tra la trasparenza e il diritto di riservatezza ma di ciò si parlerà dopo.
Come detto nell’ambito del principio di riservatezza si inquadra anche la strategia per combattere il fenomeno della corruzione nell’amministrazione. Questa strategia è delineata dalla L. 190/2012 che ha previsto 9 misure:
- l’adozione di un modello di risk management in chiave preventiva. Tale modello è basato sull’individuazione delle aree a rischio e sulla predisposizione di protocolli standardizzati di comportamento successivamente verificati. In questo modello si individua un soggetto quale responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che risponde in tutti i casi in cui all’interno dell’amministrazione sia commesso un reato di corruzione salvo che dimostri di aver predisposto il piano triennale di prevenzione dalla corruzione e di aver vigilato sulla sua osservanza.
- la previsione di meccanismo repressivi, di controllo e un insieme di obblighi e di divieti.
- tra gli obblighi va ricordata la disciplina sul conflitto di interessi che rappresenta la terza misura prevista dalla legge del 2012. In particolare si stabilisce che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche ecc… devono astenersi in caso di conflitto di interessi e devono segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
- il divieto di pantouflage: si stabilisce che i dipendenti che negli ultimi 3 anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle p.a., non possono svolgere nei 3 anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della p.a. Svolta attraverso i medesimi poteri.
- Una rete di protezione nei confronti del dipendente che segnala illeciti (whistlebowing). In particolare l’art. 54 del d.lgs. 165/2001 prevede che il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria, all’ANAC, alla Corte dei conti o che riferisce al proprio superiore di condotte illecite non può essere sanzionato, licenziato o essere sottoposto a misura discriminatoria avente effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla denuncia.
- Inoltre è stato previsto il divieto, per coloro che sono stati condannati (anche con sentenza non passata in giudicato) per uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a., di far parte delle commissioni per l’accesso e la selezione a pubblici impieghi.
- Ancora è stato previsto l’obbligo della rotazione negli incarichi nelle aree a maggior rischio (cio è stato previsto perchè ci si è resi conto che il pericolo di essere esposto a fenomeni corruttivi aumenta con l’aumentare della permanenza del funzionario in una stessa posizione).
- Sono state previste anche molte norme di incompatibilità di incarichi
- Infine è stato introdotto un codice di comportamento (che vedremo più avanti).
Come già detto un ruolo importante nella lotta alla Corruzione è svolto dall’ANAC.
Tale istituzione è stata istituita da D.L. 90/2014 (convertito con Legge 114/2014). Essa è andata a sostituire la AVCP.
La sua funzione può essere individuata nella prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione.
Molto importanti sono le sue funzioni in materia di appalti (uno dei settori più esposti a fenomeni corruttivi). In particolare l’Anac può svolgere ispezioni anche avvalendosi della Guardia di Finanza, inoltre esercita un’attività di vigilanza al fine di verificare la legittimità della gara di appalto e monitora lo svolgimento della stessa.
Si compone di un Presidente (attualmente è Raffaele Cantone) e di un collegio composto da 5 membri.
Il presidente dell’ANAC è dotato di particolari poteri. Ad es. con riferimento ai contratti di Appalto il Presidente in presenza di fatti gravi di corruzione, propone al Prefetto competente di ordinare la rinnovazione degli organi sociali.
Il principio di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della p.a. E di sindacabilità degli atti amministrativi. Il problema della riserva di amministrazione
L’art. 24, 1 comma 1 della Cost. stabilisce che “ tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, mentre l‘art. 113 cost. dispone che “ contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei dei diritti e degli interessi legittimi dinnanzi agli di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. Tale disciplina esprime l’esigenza che ogni atto della p.a. possa essere oggetto di sindacato da parte di un giudice e che tale sindacato attenga a qualsiasi tipo di vizio di legittimità: si tratta del principio di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti dell’amministrazione e del principio di sindacabilità degli atti amministrativi (indipendentemente dalla funzione, normativa e amministrativa, esplicata dall’amministrazione.). La norma non impedisce l’emanazione delle c.d. leggi provvedimento, leggi che hanno contenuto puntuale e concreto alla stessa stregua dei provvedimenti amministrativi, contro le quali il cittadino non può ottenere una tutela giurisdizionale delle proprie situazioni giuridiche davanti il G.A. o il G.O., potendo la legge provvedimento essere sindacata soltanto dalla Corte Costituzionale, alla quale non è possibile proporre direttamente ricorso da parte dei soggetti privati.
Il principio dell’equilibrio di bilancio
La disciplina costituzionale incide in modo rilevante sulla politica pubblica economica, in linea di principio impedendo di finanziare con l’indebitamento la spesa pubblica.
Si tratta di una disciplina influenzata dalla crisi economica e dagli impegni assunti dallo Stato Italiano nel 2012 con l’U.E.
Precisamente l’art.81 cost. (come modificato nel 2012) afferma che lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il principio enunciato (che si riferisce non al pareggio di bilancio ma all’equilibrio economico) da un lato impedisce, in linea di massima, il ricorso all’indebitamento, dall’altro lato però apre la via all’attuazione di politiche anticicliche.
Il comma 2 dello stesso articolo precisa che il ricorso all’indebitamento è consentito in due casi:
- al fine di considerare gli effetti del ciclo economico (in fase anticiclica) e previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti;
- al verificarsi di eventi eccezionali.
Inoltre l’ultimo comma dell’art. 81 introduce una riserva assoluta di legge rinforzata. Stabilisce infatti che con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna camera sono stabiliti: il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri diretti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle P.A.
Va sottolineato, infine, che il dovere di assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito complessivo è esteso al complesso delle p.a.
Il principio della finalizzazione dell’amministrazione pubblica agli interessi pubblici
Dall’esame dell’art. 97 Cost. emerge il principio di finalizzazione dell’amministrazione pubblica: il buon andamento significa congruità dell’azione in relazione all’interesse pubblico; l’imparzialità, direttamente applicabile all’attività amministrativa, postula l’esistenza di un soggetto “parte” il quale è tale in quanto persegue finalità collettive che l’ordinamento generale ha attribuito alla sua cura. I principi ora richiamati devono significativamente essere rispettati anche dal legislatore allorché ponga in essere una disciplina dell’amministrazione. Il principio è anche applicabile all’attività di diritto privato dell’amministrazione e all’organizzazione. La circostanza che il soggetto pubblico disponga degli strumenti privatistici non contrasta infatti con il principio di finalizzazione dell’amministrazione nel suo complesso. Ciò che rileva ai fini del principio di finalizzazione è che l’attività complessiva dell’amministrazione è comunque orientata al perseguimento di interessi pubblici.