1. Al momento della sua unificazione, l’amministrazione è un apparato servente di corona e governo, e vi è quindi un forte accentramento dei poteri. Inizialmente, seguendo il modello britannico, si sceglie la via dell’unità giurisdizionale, affidando al giudice ordinario la conoscenza delle controversie amministrative. I giudici quindi, anche in materia amministrativa, applicano norme e principi del diritto privato; le concessioni, ad esempio, sono considerate a tutti gli effetti contratti civilistici.
  2. Tutto cambia nel Novecento. L’amministrazione pubblica cresce enormemente ed ai ministeri si affiancano gli enti pubblici. Si moltiplicano le leggi che conferiscono poteri alle amministrazioni in settori delicati come quelli della moneta, del credito e dei tributi. L’amministrazione quindi si rafforza fino a divenire un apparato sostanzialmente autonomo. Il codice civile cede il passo al nascente diritto amministrativo. A differenza di quanto accaduto in altre esperienze, in Italia ha giocato un ruolo importantissimo la dottrina. Essa, pur non fornendo una definizione di “discrezionalità amministrativa”, ha affermato che quando l’attività dell’amministrazione è discrezionale, di regola non vi sono diritti soggettivi pieni degli amministrati, ma solo interessi legittimi, con conseguente competenza del giudice amministrativo. Ne risulta dunque un potenziamento degli aspetti autoritari ed un’attenuazione dei diritti degli amministrati. Scompare, infine, l’immagine del contratto, in favore di quella dell’atto amministrativo.
  3. Un ulteriore cambiamento si ha col fascismo. Rimane lo Statuto Albertino, ma si svuotano i poteri parlamentari, affermandosi la preminenza assoluta del capo del governo e scomparendo, anche se non formalmente, la Corona. Nei ministeri si consolidano i poteri dei dirigenti, e le nuove amministrazioni come l’Istituto per la Ricostruzione Industriale sono largamente indipendenti dall’esecutivo. Si assiste quindi ad un decentramento. Vi è inoltre un ritorno al diritto privato. Le ragioni di fondo riguardano la consapevolezza, già emersa in età giolittiana, che un sistema fondato sul potere discrezionale ed unilaterale dell’amministrazione, in un periodo in cui si stava assistendo al decollo industriale, non poteva funzionare nei confronti delle potenti imprese private, con le quali invece sarebbe stato più conveniente contrattare. Rimane in piedi il modello basato sul diritto pubblico e sugli atti discrezionali unilaterali, ma si attenua l’originaria visione autoritaria in favore di una concezione più aperta alle garanzie degli amministrati. Artefice principale di questa trasformazione è la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione: il diritto amministrativo, costruito dalla dottrina, è ora plasmato dalla giurisprudenza, e la via contenziosa diviene il baricentro del sistema. Importante è la questione della responsabilità per fatto illecito dell’amministrazione. Agli inizi del Novecento, tale responsabilità era praticamente inesistente, perché si riteneva che l’amministrazione non dovesse rispondere per gli “atti d’imperio”, cioè per gli atti autoritativi, categoria che però veniva estesa fino a comprendere ogni attività amministrativa. Negli anni Trenta, alla categoria degli atti d’imperio si sostituisce quello dell’atto discrezionale. La giurisprudenza della Cassazione, sempre negli anni Trenta, inizia ad affermare che tale potere discrezionale non è esente da responsabilità. L’amministrazione infatti, secondo la Suprema Corte, è sempre tenuta a rispettare il principio di elementare diligenza, ed ove tale principio sia violato l’amministrazione è responsabile per i danni causati. La giurisprudenza, soprattutto mediante il ricorso per eccesso di potere, continuerà a fare da contrappeso al regime. Il giudice amministrativo ed il giudice ordinario in Italia costruiscono dunque una delle garanzie nei confronti dell’autorità pubblica che assicurano equilibrio al sistema, secondo un’immagine molto simile al modello francese.
  4. Fondamentale è la giurisprudenza sull’eccesso di potere, che riveste grande importanza già a partire dall’Ottocento (ma che si manifesterà nella sua completezza negli anni Trenta). La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, già prima di essere qualificata come autentico giudice amministrativo con una legge del 1907, comincia a censurare lo sviamento del potere, guardando alla giurisprudenza francese. Inizia ad esercitare un controllo sull’esistenza di fatti considerati dalla legge come presupposti dell’atto amministrativo. Verifica il difetto di motivazione, inizialmente solo nelle ipotesi in cui questa è considerata obbligatoria dalla norma, avvicinandosi sotto tale profilo ad un giudizio di violazione di legge più che di eccesso di potere. In questa prima fase, si spinge oltre solo quando annulla misure disciplinari per il mancato rispetto del diritto di difesa, considerato principio di eterna giustizia.

Il controllo sull’eccesso di potere si fa più penetrante all’inizio del Novecento. Innanzitutto si potenzia il sindacato sullo sviamento che diviene controllo anche sui fini e sui motivi.

Per esempio la Quarta Sezione moltiplica gli annullamenti di dispense dal servizio di impiegati pubblici per insufficiente rendimento, che in realtà mascherano licenziamenti disciplinari.

Ancora: il Consiglio di Stato annulla un’ordinanza del sindaco in materia di provvista e conservazione d’acqua potabile per una necessaria popolazione se, sotto l’apparente scopo di voler tutelare la pubblica igiene o incolumità, miri in sostanza all’altro intento della definitiva presa di possesso di un acquedotto appartenente ad una società.

Si arricchisce anche il controllo sull’eccesso di potere per “travisamento dei fatti”: dall’iniziale vizio consistente nell’assoluta insussistenza dei fatti indicati nel provvedimento, si passa all’annullamento giudiziale di provvedimenti amministrativi nei quali fatti importanti ed influenti sono sfigurati od alterati.

L’indagine sulla motivazione si fa indipendente da una disposizione espressa che imponga l’obbligo di motivare, e riguarda non solo la mancanza della motivazione stessa, ma anche la sua insufficienza, la sua contraddittorietà e la sua illogicità.

La motivazione si considera forma intrinseca del provvedimento, anche se non prevista da norme specifiche. Così si sviluppano gradualmente figure peculiari di eccesso di potere, come la contraddittorietà con precedenti atti amministrativi.

La grande giurisprudenza viene però con gli anni Trenta. Da un giudizio di esistenza, di esattezza, di qualificazione dei fatti, il Consiglio di Stato passa ad un giudizio sulla completezza degli interessi considerati dall’amministrazione, che gradualmente condurrà al controllo dell’omessa valutazione degli interessi rilevanti.

Verificare la completezza e la sufficienza degli interessi e dei fatti valutati dall’amministrazione, significa presupporne la pluralità e la molteplicità, superando la visione monistica dell’unico interesse pubblico.

Parallelamente, la dottrina, con Massimo Severo Giannini, costruisce poi un’immagine concettuale della discrezionalità amministrativa, in base alla quale l’apprezzamento discrezionale è visto come una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene che abbia.

Non vi è allora un solo limite astratto e generale della discrezionalità, quale era l’interesse pubblico (al singolare) della dottrina tradizionale. Il limite ora sta in un controllo sulla completezza della considerazione di tali interessi da parte dell’amministrazione.

Certamente è una verifica che resta sullo sfondo del controllo di legittimità, ma si tratta comunque di un’immagine che sottopone la discrezionalità ad una verifica così penetrante come mai prima era stata tentata.

Tutto ciò conduce a poter annullare per eccesso di potere provvedimenti che appaiono validi se considerati isolatamente, ma mostrano la loro illegittimità se collocati in un più ampio contesto.

La giurisprudenza degli anni Trenta sulla responsabilità per illecito civile dell’amministrazione e sull’eccesso di potere limita dunque fortemente il carattere autoritario del primo diritto amministrativo italiano.

Tutto ciò mostra come ad un regime politico giunto al massimo del suo autoritarismo corrisponda una delle più floride stagioni liberali della nostra giurisprudenza in materia amministrativa.

Le scelte totalitarie non incidono sul diritto amministrativo, come avvenuto invece nella Germania nazionalsocialista, ove si perde il concetto stesso di diritto pubblico soggettivo.

5. Con la Costituzione repubblicana la centralità del governo stenta ad affermarsi a causa del pluralismo

Negli anni Settanta i dirigenti delle amministrazioni centrali ottengono di essere separati dal resto dei funzionari e di acquisire la titolarità di competenze proprie per l’adozione di determinati provvedimenti, attenuandosi quindi i poteri gerarchici dei ministri.

L’attività normativa del governo si potenzia grazie alla legge 400/88 che prevede anche regolamenti governativi con forza delegificante.

Grande influenza hanno avuto anche le attività indipendenti, che hanno potenziato l’autonomia

delle amministrazioni pubbliche dal governo.

Dagli anni Novanta, riguardo ai poteri ministeriali, si distingue tra indirizzo politico e controllo della sua attuazione da una parte, e gestione amministrativa dall’altra. I primi poteri sono attribuiti ai ministri, mentre la gestione spetta ai dirigenti. Sostanzialmente l’organo di governo definisce gli obiettivi ed i programmi da attuare, mentre al dirigente spetta l’adozione dei

provvedimenti; poi l’esecutivo verifica la rispondenza dell’attività dei dirigenti agli indirizzi impartiti.

L’area della contrattualità amministrativa e l’uso del diritto privato si sono allargati. La legge generale sul procedimento amministrativo (legge 241/1990) ha dato molto spazio a contratti, convenzioni ed accordi.

Si prevedono infatti accordi fra amministrazioni, ed accordi tra privati ed amministrazioni: ad entrambe le figure si applicano, ove compatibili, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, mentre le controversie sono affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché infatti non si tratta di contratti, nascendo tali accordi nel corso di un procedimento amministrativo.

Ad ogni modo, l’uso del diritto privato va al di là dei contratti. In effetti, la responsabilità extracontrattuale (art.2043 c.c.) delle pubbliche amministrazioni è ormai riconosciuta.

Il diritto privato, con il suo spirito paritario, non protegge soltanto i privilegi degli affaristi, ma assicura tutele solide anche agli interlocutori più deboli delle pubbliche amministrazioni.

6. Vediamo ora brevemente la questione del riparto della giurisdizione. Per anni ci si è basati sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi: le controversie sui primi erano affidate al giudice ordinario, mentre quelle sui secondi al giudice amministrativo.

Il codice del processo amministrativo ha innovato sul punto. Il riparto delle giurisdizioni segue un nuovo criterio: sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, o riguardanti atti, provvedimenti, accordi o comportamenti posti in essere da pubbliche amministrazioni, purché riconducibili all’esercizio del suddetto potere.

Dunque si può dire che oggi il giudice amministrativo è il giudice del potere amministrativo. Quando l’amministrazione opera in posizione paritaria nei confronti dell’amministrato, la competenza spetta invece al giudice ordinario.

7. Analizziamo ora brevemente il fenomeno delle autorità indipendenti, sviluppatosi dagli anni Settanta. Si tratta di organismi ai quali sono state riconosciute ampie autonomie nei confronti dell’esecutivo e che hanno agito e agiscono con il fine primario di proteggere interessi e diritti degli amministrati e dei cittadini.

I principali settori in cui operano sono il mercato dei valori mobiliari (CONSOB), il mercato assicurativo (IVASS), i servizi di pubblica utilità (AGCOM), la concorrenza (AGCM).

Lo sviluppo di queste autorità, simili alle agenzie federali statunitensi, è stato supportato da un favor che l’ordinamento dell’Unione Europea ha riconosciuto alla formula della regolazione indipendente.

  1. La CONSOB esercita un controllo sulla borsa e si occupa della regolazione delle complesse vicende dei valori mobiliari.
  2. L’AGCOM svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori di telecomunicazioni, editoria e poste
  3. L’AGCM è chiamata ad accertare ed a sanzionare intese tra imprese restrittive della concorrenza ed abusi di posizione dominante.

8. Solo nel 1990 il legislatore è intervenuto con una normativa organica sul procedimento amministrativo, contenuta nella nota legge 2431, dedicata anche al diritto di accesso ai documenti amministrativi. Nata come normativa breve sulla procedura, la legge 241 ha conosciuto molte modifiche che ne hanno ampliato i confini.

Si tratta di una normativa che ha recepito da altri ordinamenti la finalità garantistica basata sul riconoscimento all’amministrato di vedere i documenti e di esprimersi preliminarmente. Ampia, sul piano garantistico, è inoltre la previsione che generalizza l’obbligo di motivazione del provvedimento, da cui si escludono gli atti normativi ed i provvedimenti generali.

Molto rilevanti, accanto alla previsione di meccanismi di semplificazione come ad esempio il silenzio-assenso, sono poi le norme sulla partecipazione, grazie alle quali i destinatari diretti del provvedimento hanno facoltà di presentare memorie scritte e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di tenere in adeguata considerazione.

Tali garanzie partecipatorie non si applicano però ai procedimenti tributari ed a quelli che conducono ad atti normativi ed amministrativi generali, nonché alle procedure di pianificazione e di programmazione, per le quali valgono le rispettive norme speciali.

Ovviamente la premessa della partecipazione è la conoscenza, possibile solo grazie al suddetto diritto di accesso. Ecco allora perché la disciplina del diritto di accesso riveste un’importanza fondamentale. Il segreto, a questo punto, diviene solo un eventuale scudo protettivo di interessi tassativamente individuati, come quelli connessi alla sicurezza ed alla difesa nazionale.

Successivamente il legislatore ha introdotto altri due tipi di accesso:

  • Il lgs. 33/2013 ha riconosciuto a chiunque il diritto di accesso da esercitarsi in caso di violazione dell’obbligo di pubblicazione di determinate informazioni da parte della pubblica amministrazione
  • Con la legge 124/2015 si è consentito a chiunque di accedere alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dall’obbligo di pubblicazione.

Per questi due tipi di accesso non vi sono limiti di legittimazione soggettiva, e non è prevista una richiesta motivata. Chiunque può accedere, salve eccezioni specificate dalla legge.

Sono previsioni simili al Freedom of Information Act, con la differenza che la nostra disciplina trova origine nella normativa anticorruzione, mentre quella statunitense nasce dalla logica della partecipazione.