Fermo il principio che l’ordinamento è opera del potere legislativo e che il potere regolamentare ha pur sempre natura amministrativa, ne risulta che limite degli statuti e dei regolamenti sono le norme che li riguardano.

Ma ciò che è più rilevante non è questo limite negativo (ciò che non possono fare) che comprende anche un limite positivo (ciò che debbono fare) e che va sotto il nome di preferenza di legge ma quello che va sotto il nome di riserva di legge à vi sono infatti alcune materie nelle quali il potere regolamentare non può essere esercitato.

Esse sono indicate dalla stessa costituzione o anche da leggi ordinarie. Tali sono:

  • la materia finanziaria quando si tratti di istituire nuovi tributi (art. 81 cost)
  • l’ordinamento della magistratura (art. 108 cost)
  • l’ordinamento regionale (art. 132 cost)
  • le prestazioni patrimoniali o personali (art. 23 cost)
  • la creazione di reati e la prefissione di pene (art. 25 cost)

 Oggi stante la rigorosa distinzione fra potestà legislativa e potestà regolamentare non è più pensabile che sussista una categoria di regolamenti autorizzati, ed anzi, viene ribadito che sia la stessa legge formale ordinaria a restringere i campi che fossero già stati coperti da altra legge per dare spazio al potere regolamentare. Quanto poi alla riserva costituzionale è chiaro che essa non può in alcun modo essere superata salvo modifiche alla costituzione.

 Fin qui abbiamo parlato del potere regolamentare e dei suoi limiti, riferendoci solamente a quegli atti, esercizio di autonomia, che sono i regolamenti. D’altra parte è anche vero che i regolamenti rappresentano per ragioni storiche e pratiche la categoria più importante degli atti di autonomia ma è certo che essi non esauriscono tale categoria.

 Distinguiamo i vari tipi di regolamenti dal punto di vista del loro contenuto, differenziandoli in:

  • regolamenti di esecuzione
  • regolamenti indipendenti
  • regolamenti di organizzazione.

Sono regolamenti di esecutivi quelli che consistono in regole dirette a disciplinare l’attività necessaria per l’attuazione delle leggi formali. Essi presuppongono quindi l’esistenza di una legge formale e rappresentano in un certo senso un ponte di passaggio per facilitarne l’attuazione pur senza essere provvedimenti di funzione materialmente esecutiva.

 Sono regolamenti indipendenti quelle disposizioni generali che disciplinano l’esplicazione dell’attività amministrativa senza che vi sia una legge formale da attuare o in attuazione dell’autonomia. Essi servono a precisare i compiti che la stessa Pubblica Amministrazione si prefigge e cioè ad imporre alla Pubblica Amministrazione i limiti esterni al suo agire e i limiti interni ossia i modi di quell’agire.

Questi regolamenti servono a rendere uniforme l’attività amministrativa benché essa venga esercitata da organi e in luoghi diversi e costituiscono una garanzia per i cittadini di parità di trattamento.

 Sono regolamenti di organizzazione le norme giuridiche necessarie per disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni dello stato ma è ovvio che la definizione si attaglia anche ai regolamenti degli enti dotati di autonomia.

 Devono essere sottolineati alcuni aspetti che riguardano la procedura di adozione dei regolamenti.

Quelli di spettanza governativa sono deliberati dal consiglio dei ministri ed emanati con decreto del PdR sentito il consiglio di stato, infine sottoposti al controllo di legittimitĂ  della corte dei conti.

Vi sono poi regolamenti ministeriali. Infatti sia il presidente del consiglio che i ministri singolarmente su autorizzazione legislativa possono emanare regolamenti com’è consentito dalla legge 400/88.

Anche questi regolamenti sono adottati previo parere obbligatorio del consiglio di stato e sono emanati dal ministro o dai ministri competenti per materia.

Accanto agli atti di cui si è fin qui parlato ve ne sono altri nei quali ugualmente si attua un’autodisciplina regolamentando il comportamento futuro dell’ente e quindi usando del potere di dettare norme di condotta.

Si tratta di atti che tendono ad ottenere un’ organizzazione non tanto della struttura quanto dell’attività dell’ente nei quali accanto ad un discorso normativo diretto soprattutto a disciplinare il comportamento futuro dell’ente, si inseriscono norme che riguardano il comportamento futuro dei terzi.

A questo tipo di atti si può dare il nome generale di programmi e ne sono tipi precipui i bilanci, i piani e i progetti.

 Il bilancio è una manifestazione di volontà con cui l’ente impegna una propria attività finanziaria futura.

Ci si riferisce al bilancio preventivo perché quello consuntivo non è se non un atto dichiarativo delle attività svolte nel loro profilo finanziario.

Pertanto il bilancio impegna il futuro comportamento dell’ente sia attraverso la previsione di un’attività diretta a conseguire le entrate, sia in previsione dell’attività diretta alla erogazione delle spese.

 Il piano è una manifestazione di volontà con cui l’ente impegna una propria attività futura, di carattere giuridico in relazione ad attività proprie o dei cittadini.

Tipici sono i piani urbanistici tra cui i piani territoriali di coordinamento o i piani territoriali regionali previsti in varie regioni i quali tendono a vincolare l’attività urbanistica dei comuni interessati.

 I progetti o piani esecutivi sono manifestazioni di volontà con cui l’ente impegna un proprio comportamento futuro di carattere prevalentemente materiale o tecnico. Anche i progetti appartengono al campo degli atti di esercizio di autonomia benché per il loro carattere più particolare e concreto, tendano a porsi come atti che segnano il punto di contatto con gli atti che sono esercizio di autarchia.

 Nell’ambito dell’attività regolamentare accanto ai provvedimenti vi sono dei meri atti i quali pur non essendo esercizio di un potere di impero ma di una mera facoltà tuttavia perseguono lo stesso fine dei provvedimenti regolamentari e cioè la disciplina in via generale dell’attività amministrativa. Tali sono le ordinanze amministrative.

Sono questi meri atti emanati di solito da un organo superiore e dirette agli inferiori, ma talvolta anche ai cittadini, con cui questo organo precisa seppure in forma generale, il modo di adempimento nei confronti della Pubblica Amministrazione di un obbligo concreto giĂ  esistente nei destinatati.

Questo obbligo riguarda ordinariamente l’esplicazione dell’attività compresa nella competenza dell’organo inferiore, esplicazione che costituisce appunto un obbligo (dovere di ufficio) del funzionario; mentre altre volte riguarda l’esplicazione di un’attività del privato necessaria per l’esplicazione dell’attività dell’organo.

Le ordinanze amministrative assumono varie denominazioni, quali circolari, istruzioni, normali.

Inesatto è chiamarle “norme interne” sia perché esse non sono mai delle norme sia perché non sempre spiegano la loro efficacia all’interno dell’organizzazione amministrativa.

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