La dottrina amministrativistica (italiana e francese) ha sempre distinto l’ attività giuridica (o autoritativa) da quella sociale (o di prestazione). Nei riguardi della prima il privato si pone come cittadino (si pensi, ad es., all’ attività che lo Stato esplica per assicurare l’ ordine pubblico o l’ amministrazione della giustizia), mentre nei confronti della seconda egli si atteggia come utente (utente, ad es., di servizi di trasporto, di servizi postali, di energia elettrica, di telecomunicazioni, etc.).
Le due specie di attività su descritte si differenziano, innanzitutto, per il regime giuridico; tale differenza è efficacemente espressa dal nostro codice penale, il cui art. 357 stabilisce, infatti, che la pubblica funzione amministrativa è disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi ed è caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione. L’ art. 358 c.p. stabilisce, invece, che il pubblico servizio, pur essendo disciplinato nelle stesse forme (norme di diritto pubblico e atti autoritativi), è caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici della pubblica funzione.
Per comprendere meglio la differenza tra l’ attività autoritativa e quella sociale proponiamo un esempio: una cosa è ordinare un comportamento (come quello di presentarsi alla leva militare obbligatoria, esistita sino a poco tempo fa) o vietarne un altro (come quello di superare un determinato limite di velocità); altra cosa è, invece, rendere una prestazione sanitaria in un ospedale pubblico o consentire a chi ha pagato il biglietto di salire su un treno. Solo nel primo caso l’ amministrazione si presenta come autorità (ossia come un soggetto munito di poteri autoritativi); nel secondo caso, invece, il pubblico rende un servizio che non costituisce esplicazione di un potere autoritativo (perché all’ ospedale o sul treno il privato ci va solo se vuole).