Questi principi fondamentali sono comuni a tutta l’organizzazione dei pubblici poteri. Nel complesso, la disciplina positiva dell’organizzazione amministrativa è contenuta, anche se non esclusivamente, in atti normativi, primari e secondari, e amministrativi.

Leggi e atti aventi forza di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali dell’organizzazione dello Stato. In particolare, si deve prevedere l’istituzione (ad esempio, quali e quanti ministeri), la struttura di base (ad esempio, l’articolazione dei ministeri in dipartimenti o in direzioni generali), le attribuzioni e le competenze degli organi (ad esempio, quelle spettanti rispettivamente ai ministri e ai dirigenti generali). Le disposizioni contenute nell’art. 97 cost., c. i e 2, distribuiscono in modo netto il potere organizzativo: questo viene affidato al legislatore per la parte che attiene ai profili sostanziali e al governo- amministrazione per quella che riguarda gli aspetti settoriali e di dettaglio della disciplina degli uffici.

Tra gli atti normativi di carattere secondario rientrano in primo luogo i regolamenti statali. L’art. 17, c. 1, lett. d, c. 3 e c. 4-bis, I. n. 400/1988, tratta dei regolamenti governativi e di quelli ministeriali, stabilendo in particolare che con essi si può disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, anche se soltanto secondo le disposizioni dettate dalla legge.

Vi sono, poi, i regolamenti e gli statuti degli enti pubblici I primi sono espressione della potestĂ  organizzativa loro attribuita dalla legge (tra i quali assumono particolare rilievo quelli organici, che definiscono l’assetto dell’ente attraverso la classificazione del personale in qualifiche funzionali, per ciascuna delle quali è fissato il numero dei posti). I secondi (tra i quali speciale importanza hanno quelli regionali e locali) sono quegli atti che ne individuano le principali regole di organizzazione e di funzionamento.

Anche altri atti, generali o individuali, possono essere rilevanti per l’organizzazione. Così, talvolta, all’interno di una struttura, il potere organizzativo si esplica definendo un ufficio, determinando le sue incombenze, individuando il soggetto che lo deve dirigere, assegnandogli le risorse e così via (ad esempio, art. 4, c. 4, del d.lg. n. 300/1999).

Altre volte, invece, trattandosi di scelte che coinvolgono piĂą soggetti ed hanno efficacia esterna, si utilizzano strumenti di natura convenzionale

Norme di organizzazione, inoltre, sono contenute anche in atti comunitari. Negli ultimi tempi, infatti, si è sviluppata la tendenza ad attribuire a soggetti nazionali il compito di svolgere in proprio una determinata attivitĂ  necessaria e indispensabile per lo svolgimento di una funzione comunitaria (si pensi al caso dell’organizzazione comune dei mercati agricoli per quanto attiene alla disciplina degli organismi nazionali di intervento). Si vengono così ad avere soggetti che, pur facendo parte dell’organizzazione nazionale, esercitano in via principale poteri attribuiti dall’Unione europea.

Tra le fonti dell’organizzazione, infine, rientra anche la prassi. Spesso, l’adeguamento alla realtĂ  delle disposizioni, normative e non, di natura organizzativa si realizza di fatto. Nelle strutture di tipo reticolare come quelle contemporanee, diminuendo il livello di formalizzazione delle scelte organizzative, anche per effetto dell’incremento dei poteri dei funzionari pubblici, la prassi viene ad assumere una funzione di integrazione del contenuto delle norme. In tal modo, essa diviene strumento di svolgimento dell’azione dei pubblici poteri.

In conclusione, oggi l’organizzazione pubblica è disciplinata da fonti eterogenee: da disposizioni costituzionali, da provvedimenti normativi di livello rimario e secondario, da atti di autonomia e da comportamenti che condizionano di fatto le scelte amministrative (C. cost., n. 383/1998).

 

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