La deliberazione collegiale

Molti organi e provvedimenti amministrativi hanno natura collegiale, ma ciò si verifica, ovviamente, anche in altri settori del diritto. La giurisprudenza amministrativa, comunque, ha elaborato una serie di regole sul procedimento di formazione di provvedimenti collegiali, che si aggiungono a quelle poste dalle norme di settore (statuti degli enti pubblici, regolamenti dei singoli organi, norme sui singoli procedimenti).

Queste regole riguardano principalmente: la convocazione dell’organo; la validità dell’adunanza; lo svolgimento dell’adunanza; la deliberazione; l’esternazione della deliberazione. I collegi reali (o perfetti) possono riunirsi e deliberare solo se sono presenti tutti i componenti, ma i membri titolari possono essere sostituiti dai supplenti, ove questi vi siano. Per i collegi virtuali (o imperfetti) deve essere presente la maggioranza dei membri in carica (quorum strutturale).

 

Gli accordi tra amministrazioni

Il procedimento può dare luogo alla conclusione di un accordo, che può anche essere l’atto finale del procedimento: ciò avviene non solo nel caso di accordo sostitutivo con gli interessati, ma anche in numerose ipotesi di accordo tra amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni hanno sempre concluso accordi tra loro: per regolare e coordinare l’esercizio delle rispettive competenze, per realizzare progetti impegnativi, per ottenere economie di scala. È ormai frequente che a questi accordi partecipino anche soggetti privati.

A partire dal 1990 sono state emanate diverse norme che dettano discipline più o meno generali per questi accordi: tra le più importanti, l’art. 34, d.lgs. n. 267/2000, che prevede gli accordi di programma volti a realizzare opere e interventi che richiedano la partecipazione di amministrazioni appartenenti a diversi livelli di governo. Tale disposizione consente alle pubbliche amministrazioni di concludere accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

Come la previsione relativa agli accordi con i privati, anche questa è importante più per il rinvio alla disciplina del codice civile che per l’affermazione della possibilità degli accordi. Nella pratica, queste norme hanno un’applicazione estremamente ampia e variegata e le varie previsioni normative vengono spesso applicate congiuntamente, elaborando nuove figure di accordo: le pubbliche amministrazioni concludono numerosissimi accordi tra loro e con i privati, per ottenere risultati che non potrebbero ottenere facilmente con provvedimenti unilaterali. Gli accordi, quindi, sono strumenti di negoziazione, oltre che di semplificazione.

 

La conferenza di servizi

Il contenuto dell’atto conclusivo del procedimento è il frutto dell’attività di acquisizione dei fatti rilevanti e degli interessi coinvolti. Tramite la conferenza dei servizi avviene un confronto tra le amministrazioni per semplificare il procedimento accelerando e favorendo il coordinamento. A norma dell’art. 14, legge n. 241/1990, la conferenza di servizi decisoria è indetta quando ”l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati da altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga” entro un breve termine.

In tale caso, il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti. La conferenza di servizi istruttoria viene convocata dall’amministrazione procedente, titolare del potere amministrativo, quando ”sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti” (art. 14, c. 1).

La valutazione di questa opportunità, naturalmente, spetta all’amministrazione stessa (in particolare, al responsabile del procedimento, il quale deve indire o proporre l’indizione della conferenza), ma la legge stabilisce che, in tale ipotesi, essa ”di regola” è indetta, suggerendo che la conferenza di servizi è la forma tipica di acquisizione degli interessi pubblici nel procedimento. Nel caso della conferenza di servizi decisoria, le norme che richiedono l’assenso di altre amministrazioni per l’emanazione di un provvedimento pongono un potenziale fattore di rallentamento del relativo procedimento: l’amministrazione in questione può bloccare il procedimento stesso, astenendosi dall’accordare il proprio assenso.

L’esigenza di accelerazione e coordinamento, quindi, è particolarmente forte, ma l’applicazione dell’istituto non ha consentito di raggiungere pienamente questi risultati: ciò spiega le numerose modifiche e integrazioni subite dalla disciplina, ora contenuta in ben quattro articoli della legge. Queste modifiche hanno privilegiato le esigenze ora indicate rispetto a quella di tutelare i singoli interessi pubblici, introducendo il criterio di maggioranza in luogo di quello di unanimità (che corrisponderebbe alla struttura sequenziale, nella quale ciascuna amministrazione ha un potere di veto).

Ciò, ovviamente, può comportare il sacrificio di singoli interessi, di cui siano titolari le amministrazioni che rimangano in minoranza nella conferenza: solo a tutela di determinati interessi (relativi all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio storico-artistico e alla salute) è previsto un rimedio, consistente nella rimessione della decisione all’autorità politica.

Questa possibilità è particolarmente problematica quando l’amministrazione dissenziente appartenga a un livello di governo diverso da quella procedente (per esempio, quando un comune dissenta dalle determinazioni adottate a maggioranza in una conferenza di servizi convocata da un’amministrazione statale), in quanto il ricorso a questo meccanismo può alterare il riparto delle funzioni amministrative, definito a livello costituzionale.

 

L’integrazione dell’efficacia

Normalmente, il procedimento non si conclude con l’emanazione dell’atto principale: sono necessari adempimenti ulteriori, come il controllo dell’atto, la sua comunicazione, il pagamento di un tributo, la produzione di un documento, la prestazione di un giuramento. Si parla, al riguardo, di fase integrativa dell’efficacia, soprattutto con riferimento ai controlli preventivi di legittimità, che sono condizione di efficacia del provvedimento: è un’espressione ormai impropria, dato che simili controlli sono ormai rari, mentre la comunicazione è condizione di efficacia solo per i provvedimenti recettizi.

 

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