L’ altro rimedio amministrativo a carattere generale è il ricorso straordinario, non più al Re, ovviamente, ma al Presidente della Repubblica.

In realtà, è bene precisare che la decisione spetta ad una sezione del Consiglio di Stato ovvero alla commissione speciale dello stesso, anche se la legge parla di parere: più precisamente, dal punto di vista formale, la decisione è del Presidente della Repubblica su proposta del ministro competente per materia; dal punto di vista sostanziale, invece, sia la decisione che la proposta si limitano a far proprio il parere del Consiglio di Stato (ciò lo si desume, tra l’ altro, dalla formulazione dell’ art. 69 L. 69/09, il quale, infatti, ha stabilito che la decisione deve essere adottata su proposta del ministro competente, conforme al parere del Consiglio di Stato).

Oggi, il ricorso straordinario (disciplinato dal D.P.R. 1199/71) continua ad essere usato sia perché è molto più economico del ricorso giurisdizionale (può essere, infatti, presentato senza la necessità dell’ assistenza di un legale), sia perché il termine per ricorrere è di 120 gg. dalla data di notificazione ovvero dalla piena conoscenza dell’ atto da impugnare (esso, quindi, rappresenta una sorta di ultima spiaggia per chi abbia lasciato trascorrere il termine di 60 gg. per rivolgersi al Tar).

A differenza del ricorso gerarchico (che, come sappiamo, può essere seguito dal ricorso giurisdizionale al Tar), il ricorso straordinario è alternativo al ricorso al Tar: in altri termini, chi ricorre al Tar non può proporre ricorso straordinario e chi propone ricorso straordinario non può rivolgersi al Tar [questa preclusione si giustifica in virtù del fatto che a rendere il parere sul ricorso straordinario, e in sostanza a deciderlo, è il Consiglio di Stato in sede consultiva (ossia, lo stesso organo che, in sede giurisdizionale, potrebbe essere chiamato a giudicare, in secondo grado, sul ricorso presentato al Tar e da quest’ ultimo deciso: con la possibilità di due pronunce contraddittorie sullo stesso tema)].

In ogni caso, appare opportuno sottolineare che la scelta è obbligata per chi ricorre, non per chi resiste al ricorso (amministrazione o controinteressato); costoro, infatti, possono chiedere, entro 60 gg. dalla notifica del ricorso straordinario, che questo sia deciso in sede giurisdizionale. Ora, in seguito a tale richiesta, il ricorrente è tenuto a costituirsi, entro i successivi 60 gg., davanti al Tar competente (art. 48 c.p.a.): si tratta della cd. trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale, che costituisce una manifestazione attraverso la quale il nostro ordinamento riconosce ed attribuisce preferenza al ricorso giurisdizionale.

Qualora la parte resistente al ricorso (amministrazione o controinteressato) non si avvalga della facoltà di trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale, potrà tuttavia impugnare la decisione davanti al Tar, ma solo per vizi di forma o di procedimento: cioè, solo se il procedimento di decisione del ricorso straordinario è stato irregolare (perché, ad es., è stata omessa la notifica ad un controinteressato).

È opportuno precisare, poi, che il ricorso straordinario si distingue dal ricorso giurisdizionale per due motivi:

• esso, infatti, può essere proposto soltanto contro atti definitivi (ossia, contro atti sui quali non possano proporsi domande di riparazione in via gerarchica);

• il ricorso straordinario, inoltre, può essere proposto sia a tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi.

Il ricorso straordinario si differenzia, inoltre, dal ricorso gerarchico, per via del fatto che attraverso di esso possono essere fatti valere solo vizi di legittimità.

Una volta annullato l’ atto (attraverso il ricorso straordinario), qualora l’ amministrazione non ottemperi alla decisione, l’ interessato può adire il Tar Lazio con l’ azione di ottemperanza (art. 112 c.p.a.).

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