La nostra Costituzione non contiene una disciplina dei pubblici servizi; menziona soltanto i servizi pubblici essenziali (servizi economici) all’ art. 43: questa disposizione stabilisce, infatti, che la legge può riservare o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato determinate imprese, qualora queste si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

All’ interno della nostra Carta fondamentale vengono, poi, indicati anche singoli servizi: questi, però, non sono qualificati come servizi pubblici, ma come servizi sociali: l’ assistenza (artt. 31 e 38), la sanità (art. 32), la previdenza sociale (art. 38, co. 2), l’ istruzione (artt. 33 e 34) e i trasporti regionali e locali (art. 117).

Da quest’ elenco, tuttavia, possiamo estrarre delle regole ben precise.

1° regola: innanzitutto, va detto che, alla stregua dell’ art. 43 Cost., ci sono servizi pubblici (quelli essenziali) che vengono prodotti nella forma dell’ impresa: come impresa pubblica è stato strutturato, ad es., l’ ENEL (Ente Nazionale per l’ energia elettrica), istituito nel 1962 per la produzione e la distribuzione dell’ energia elettrica in regime di monopolio legale; e come impresa pubblica è tuttora organizzata la RAI-TV, chiamata (a suo tempo: 1975) a gestire il servizio pubblico della diffusione radiofonica e televisiva.

2° regola: il servizio pubblico può essere erogato da un soggetto privato; ciò lo si desume, a contrario, dalla stessa formulazione dell’ art. 43 Cost., ai sensi del quale, infatti, le imprese che producono servizi pubblici essenziali possono essere riservate o trasferite (mediante espropriazione) allo Stato e ad enti pubblici solo quando hanno carattere di preminente interesse generale. Da quanto detto si può dedurre, pertanto, che se il servizio è pubblico anche quando è gestito da un imprenditore privato viene meno il nesso indissolubile tra la natura pubblica del servizio e la natura pubblica del soggetto abilitato a soddisfarlo.

3° regola: come abbiamo visto in precedenza, la Costituzione propone una bipartizione dei servizi pubblici: i servizi pubblici essenziali, ex art. 43 (che vengono prodotti da un’ impresa, pubblica o privata), e i servizi previsti dagli artt. 31, 32, 33, 34 e 38 (assistenza, sanità, previdenza e istruzione), per i quali, invece, valgono formule e criteri diversi rispetto ai primi (quelli essenziali).

• Innanzitutto, è necessario sottolineare che, a differenza dei servizi pubblici essenziali, i singoli servizi previsti dalla Costituzione non sono suscettibili di nazionalizzazione; e ciò lo si desume dalla prospettiva normativa: l’ art. 38, ult. co. stabilisce, infatti, che l’ assistenza privata è libera; l’ art. 33, co. 2 afferma che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione; lo stesso dicasi in relazione alla previdenza sociale, dal momento che l’ art. 38, co. 4 prevede che ai compiti ad essa relativi provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato (e l’ integrazione da parte dello Stato presuppone, ovviamente, un’ iniziativa originaria del privato); analogo discorso può essere fatto per la sanità, perché l’ obbligo di tutelare la salute (art. 32) non implica necessariamente l’ istituzione di un Servizio sanitario nazionale (avvenuto in concreto nel 1978), né comporta un monopolio pubblico delle prestazioni sanitarie.

Da quanto detto emerge chiaramente, quindi, che accanto al dovere delle istituzioni (cioè, dello Stato) di assicurare assistenza, salute, previdenza sociale e istruzione, la Costituzione prevede un diritto (o una libertà) del soggetto privato di rendere questi servizi: in altri termini, a differenza di quanto accade per i servizi pubblici essenziali (in relazione ai quali vi è una successione di pubblico e privato), per i singoli servizi previsti dalla Costituzione vi è una sorta di coesistenza di pubblico e privato.

• L’ altra differenza tra i due tipi di servizi (quelli economici previsti dall’ art. 43 e quelli sociali contemplati dagli artt. 31 ss.) consiste nel modello organizzativo, perché non sempre ai servizi sociali è applicabile il modello dell’ impresa: per alcuni di essi (si pensi, ad es., all’ istruzione obbligatoria o alle cure gratuite agli indigenti) vi è, infatti, la necessità di coprire dei costi elevati con somme che, non potendo essere addossate agli utenti, vanno ricercate altrove (ciò significa, quindi, che non si possono coprire i costi di produzione con i ricavi, come farebbe, per definizione, un’ impresa).

• Quanto detto fa emergere una terza differenza tra i servizi pubblici essenziali, ex art. 43, e quelli sociali, ex artt. 31 ss.: i primi, in quanto erogati da un’ impresa (pubblica o privata) vengono corrisposti dietro un prezzo a carico dell’ utente (si pensi, ad es., al prezzo del francobollo per il servizio postale o al prezzo del biglietto per il servizio di trasporto).

I servizi sociali, invece, sono prestati anche se, in alcuni casi, gli utenti non pagano alcun prezzo: si pensi, ad es., agli indigenti ovvero ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere.

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