Fino alla fine dell’Ottocento, il rapporto di lavoro degli impiegati delle pubbliche amministrazioni era di natura privatistica.

Col Novecento tutto si è avuta una pubblicizzazione del rapporto di impiego pubblico: gli atti del rapporto lavorativo erano configurati come provvedimenti unilaterali, e molte delle situazioni giuridiche soggettive dell’impiegato sono stare ricondotte alla categoria dell’interesse legittimo; si è riconosciuta la competenza giurisdizionale esclusiva del giudice amministrativo.

Dagli anni Settanta è emersa una nuova trasformazione, aprendosi la via verso un graduale ritorno alla configurazione privatistica del rapporto di impiego presso le pubbliche amministrazioni.

La maggior flessibilità del diritto privato era vista come un utile strumento di omogeneizzazione delle condizioni lavorative di impiegati privati e pubblici, rispondendo ad esigenze di uguaglianza emerse con la sindacalizzazione.

La svolta si è avuta nel 1993 quando la contrattazione collettiva è divenuta la fonte principale di regolazione del rapporto di impiego presso la pubblica amministrazione; gran parte delle controversie è passata alla competenza del giudice ordinario.

La natura giuridica del rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni oggi è quindi di natura chiaramente privatistica, ed è pertanto regolato ampiamente dal codice civile.

Ad ogni modo la fase preliminare all’instaurazione del rapporto di pubblico impiego, quella del concorso pubblico, conserva natura pubblicistica.

Inoltre mantengono natura pubblicistica i rapporti di impiego di alcune categorie di personale, come i magistrati, il personale militare ed i professori universitari.

Infine non mancano deroghe al personale privatizzato, tanto che alcuni giuristi parlano, in ambito di personale delle pubbliche amministrazioni, di un diritto speciale del lavoro. Si pensi infatti all’esercizio del diritto di sciopero, sottoposto a specifiche limitazioni quando si tratta di servizi pubblici essenziali.

La privatizzazione è ormai scelta definita. Ne segue la giurisdizione del giudice ordinario. Questi ha pienezza di poteri nei confronti degli atti negoziali della pubblica amministrazione,

potendo annullare o modificare atti dell’amministrazione (datore di lavoro) non aventi natura di provvedimenti; quando invece vi sono provvedimenti che incidono sul rapporto di lavoro il giudice ordinario si limita alla disapplicazione, operando il divieto di annullamento di cui all’allegato E della legge 2248/1865.

Il giudice ordinario cede il passo al giudice amministrativo solo in presenza di controversie relative alle categorie speciali di personale o ai concorsi di reclutamento.

Un decreto legislativo del 2009 ha introdotto diverse modifiche. Il quadro delle fonti ha visto ridursi il ruolo della contrattazione collettiva di lavoro in favore della legge. In particolare il decreto ha previsto che la forza derogatrice della contrattazione collettiva rispetto alle disposizioni di legge opera solo se vi è una previsione legislativa esplicita che consenta la deroga per via di contrattazione collettiva.

Altre modifiche si sono avute con un decreto legislativo del 2017. Ad esempio si prevedono prove concorsuali che tendono a privilegiare la capacità dei candidati di applicare nozioni teoriche a casi concreti; sono state introdotte nuove norme in materia di procedimenti disciplinari.

Importante è la formazione dei dirigenti pubblici. La “Scuola superiore della pubblica amministrazione”, ora “Scuola nazionale dell’amministrazione”, nata nel 1957, ha tenuto per gran parte della sua esistenza corsi di formazione successivi al reclutamento dei funzionari.

Dopo una riforma degli anni Settanta sono previsti anche corsi di preparazione al concorso, idonei ad immettere nell’amministrazione funzionari con preparazione professionale specifica, nonché appositi corsi per la formazione dei dirigenti amministrativi.

Storicamente vi sono state tre formule che si sono succedute nella legislazione in materia di dirigenti dello Stato, e che ne hanno definito il rapporto con gli organi politici:

  • La prima formula nasce in età cavourriana. Tutte le funzioni decisionali erano concentrate nel ministro, e le strutture affidate ai dirigenti erano meri uffici interni, privi di legittimazione ad adottare atti rilevanti per l’esterno. Il rapporto organizzativo fra dirigenti e ministro era quindi di stretta gerarchia.
  • La seconda formula nasce con la riforma della dirigenza degli anni Settanta. Alcune competenze vengono affidate per legge ai dirigenti. In tale quadro, il ministro non ha più un potere di ordine ma di direttive: si tratta in sostanza di una gerarchia attenuata.
  • La terza formula si basa sulla distinzione fra indirizzo politico e controllo della sua attuazione gestione amministrativa dall’altra.

L’indirizzo politico ed il controllo sono affidati al governo, mentre la gestione amministrativa è di competenza dei dirigenti. Si escludono i poteri di avocazione del ministro. Il ministro ha quindi un potere di direzione, non di gerarchia.

 

Più precisamente, al governo spettano:

-decisioni in materia di atti normativi

-definizione degli obiettivi e dei programmi

-individuazione delle risorse umane, materiali e finanziarie

-nomine e designazioni

 

Ai i dirigenti invece spetta invece:

-adozione di atti e provvedimenti

-gestione finanziaria e tecnica

 

In definitiva, dalla gerarchia piena della prima formula si passa alla gerarchia attenuata della seconda formula, per giungere poi al rapporto di direzione della terza formula.

Quanto all’accesso ai ruoli dirigenziali, si distingue tra dirigenti di prima fascia e dirigenti di seconda fascia. I dirigenti di prima fascia sono i dirigenti titolari di uffici dirigenziali di livello generale. I dirigenti di seconda fascia sono i titolari di uffici dirigenziali di livello non generale, come divisioni e reparti.

  1. L’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non economici avviene per concorso mediante un esame indetto dalle singole amministrazioni o dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
  2. L’accesso alla qualifica di dirigente di prima fascia avviene mediante concorso pubblico indetto dalle singole amministrazioni, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio, previo parere della SNA

 

Quanto alle funzioni possiamo invece distinguere:

  • Incarichi apicali. Si tratta degli incarichi di segretario generale e di direzione di strutture articolate in più uffici dirigenziali generali. Sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. La durata massima del mandato è di tre anni.
  • Incarichi di direzione di uffici di livello dirigenziale generale. Fanno parte di questa categoria, per esempio, i direttori generali di un ministero. Tali incarichi sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio. La durata massima del mandato è di cinque anni.
  • Incarichi di direzione di altri uffici generali. Sono incarichi conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello generale. Anche qui la durata massima del mandato è di cinque anni.

Una legge del 2002 ha disposto per gli incarichi apicali la cessazione decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al governo. E per gli incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali allora in essere la cessazione al sessantesimo giorno dall’entrata in vigore della stessa legge. Questa ultima disposizione è stata però dichiarata dalla Corte Costituzionale contraria al principio di continuità e buon andamento dell’azione amministrativa.

Quanto alla revoca degli incarichi prima del termine della scadenza, vi sono poi meccanismi di spoils system (sistema delle spoglie) in base ai quali alcune cariche dirigenziali terminano al mutare dei governi, o comunque prima della sentenza naturale.

Il sistema delle spoglie è stato oggetto di contenzioso costituzionale. La Corte ha precisato che il meccanismo che ricollega l’automatica decadenza dei titolari di uffici amministrativi all’insediamento del nuovo governo è legittimo solo per i dirigenti che siano stati nominati in virtù di un rapporto di stretta fiduciarietà dall’organo politico.

Restano però in vigore norme secondo cui, con decisione ampiamente discrezionale, si può disporre il passaggio dei dirigenti ad altro incarico prima della scadenza del mandato in corso: certamente è una forma, sia pur particolare, di sistema delle spoglie.

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