Il modello organizzativo dell’ente pubblico è molto complesso, perché nel diritto positivo se ne rinvengono tante specie diverse, non facilmente definibili. Per questo motivo, risulta impossibile individuarne tratti comuni, tanto che correttamente si è rilevato come quello dell’ente pubblico non sia neppure un istituto, bensì la somma di un insieme di istituti.

Oggi, per effetto delle privatizzazioni che hanno condotto alla trasformazione di un grandissimo numero di enti pubblici in società per azioni, questo modello ha subito un forte ridimensionamento.

 

Caratteri

La definizione di ente pubblico è necessariamente generica, perché non unitaria. Con essa si viene solo ad indicare una persona giuridica che ha particolari attributi di natura pubblicistica e, allo stesso tempo, è disciplinata da norme specifiche, derogatorie rispetto a quelle di ordine generale che regolano le associazioni, le fondazioni e le società.

Diciamo che un ente possa definirsi pubblico solamente qualora si trova in uno specifico rapporto di diritto pubblico, che lo pone al servizio dello Stato, in posizione di strumentalità.

Attraverso l’elaborazione del criterio degli indici di riconoscibilità, si individuano vari elementi distintivi della natura pubblica di un ente: la titolarità di poteri d’imperio (di autorganizzazione, di certificazione, di autotutela, ecc.), l’istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico, il riconoscimento della c.d. « operatività necessaria » (impossibilità che i compiti attribuiti vengano espletati da altro soggetto ovvero impossibilità di fallimento o di estinzione volontaria), l’assoggettamento al controllo o all’ingerenza dello Stato, la fruizione di agevolazioni o di privilegi tipici di amministrazioni statali e così via (tra le altre, Cons. St., VI, n. 639/1998 e Cass., sez. un., n. 3322/1995, o. 3036/1996, n. 8053/1997, n. 1987/1998).

Nella realtà, però, anche questo metodo si rivela impreciso, perché correlato a regole particolari, oltretutto spesso in contraddizione tra loro. Dall’esame del diritto positivo si evince che le differenze sono maggiori dei tratti comuni e che ci si imbatte sempre in fattispecie non riconducibili ad unità. Se ne deduce che la nozione di ente pubblico appare inutile sotto il profilo scientifico, in quanto in materia prevale l’atipicità e, dunque, che non risulta possibile definire una disciplina unitaria.

 

Categorie principali

Le categorie principali di enti pubblici sono tre:

La prima categoria, molto diffusa, è quella degli enti territoriali. Tal sono quegli enti (ad esempio, le regioni e le province) che trovano ne] territorio una limitazione alla validità dei propri atti amministrativi (e non anche di queffi che sono espressione di attività svolte in forme privatistiche).

Vi è, poi, la categoria degli enti economici, il maggior esempio dei quali è rappresentato attualmente dalle aziende sanitarie locali e dall’Agenzia del demanio. Tali enti si caratterizzano per il fatto di esercitare in via principale e prevalente un’impresa, non assumendo importanza, al contrario, il settore di intervento che, eventualmente, può essere non economico. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, la loro attività è di tipo privatistico, essendo pochissime le ipotesi rilevanti per il diritto pubblico (lo è, ad esempio, quella dell’approvazione del bilancio) (C. cost., n. 466/1993 e Cass., sez. un., n. 10239/1994).

Infine, vi è la categoria degli enti non economici. Si tratta di una categoria di contenuto residuale, perché è individuata in termini negativi, in quanto comprende tutti gli enti che non sono riconducibili alle due precedenti. Per questo motivo, essa è formata da realtà che sono fortemente disomogenee sul piano delle funzioni e delle strutture, avendo in comune soltanto la disciplina collettiva del rapporto di lavoro per i propri dipendenti (l’Inps, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro — Inail, il Consiglio nazionale delle ricerche — Cnr, l’Aci, le università, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli ordini professionali ne rappresentano qualche esempio).

Tra gli enti non economici, dunque, prevalgono le discipline particolari. Per tale ragione in dottrina sono state individuate svariate specie:

– istituti di Stato sono soggetti dotati di propri organi, i cui membri sono scelti dal governo, hanno un bilancio autonomo, ancorché siano finanziati dal Ministero dell’economia e delle finanze e sottoposti a controllo statale, e esercitano funzioni essenziali dei pubblici poteri (l’esempio più noto è l’Istat).

– enti di disciplina di settore svolgono funzioni di controllo di attività private (come nel caso delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità introdotte dalla 1. n. 481/1995).

– enti di servizio erogano servizi a favore di privati avvalendosi di finanziamenti di natura fiscale e parafiscale (è l’ipotesi dell’Inps e dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche — Inpdap).

– enti associativi rappresentano una espressione pubblicistica del fenomeno dell’associazionismo, perché hanno la rappresentanza degli interessi propri del gruppo sociale di riferimento (tra gli altri, si ricordino l’Automobile Club d’Italia — Aci e gli istituti scolastici).

Come modello base è stato seguito quello della società per azioni ordinaria, con un vertice formato da un presidente e da un consiglio di amministrazione, con un organo di controllo e con una assemblea di partecipanti o di soci.

Non è una categoria di enti pubblici quella degli organismi di diritto pubblico, che sono definiti nella normativa comunitaria in materia di appalti pubblici. Questi sono persone giuridiche private istituite per soddisfare specificamente finalità di interesse generale, svolgenti attività non economiche (quindi, non industriali o commerciali) e sottoposte a controllo o influenza pubblica.

 

I consorzi di enti pubblici

Una trattazione a parte meritano i consorzi di enti pubblici.

Nella esperienza della pubblica amministrazione, sempre più di frequente ci si imbatte in manifestazioni del fenomeno consortile. Queste, per quanto assumano configurazioni giuridiche differenziate, si ispirano ad una ratio unitaria, presentando comunque tre tratti comuni: una pluralità di soggetti pubblici portatori di interessi affini, un vincolo associativo e un apparato organizzativo stabile dotato di personalità giuridica (C. cost., n. 326/1998).

 

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