Il fatto che l’oggetto degli accodi siano le scelte discrezionali aiuta a comprendere il significato della disposizione secondo la quale la conclusione degli accordi è ammessa in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse (art. 11 co. 1 della LPA): ammettere che una pubblica amministrazione possa fare accordi non significa riconoscerle una posizione di autonomia privata. Il fatto che un privato addivenga all’accordo al fine di perseguire i propri interessi, infatti, non esclude di per sé che l’amministrazione pubblica, con lo stesso accordo, persegua un interesse pubblico.

Alcuni obiettano che l’interesse pubblico da perseguire in concreto non potrebbe essere individuato in accordo con terzi, in quanto la determinazione unilaterale dell’amministrazione sarebbe imposta dalla necessità che le sue decisioni osservino il principio della legalità-indirizzo. Il rispetto di tale principio, tuttavia, non implica che in relazione ad una data circostanza sia ammissibile una sola soluzione, dal momento che questo equivarrebbe a negare la stessa esistenza della discrezionalità amministrativa.

Gli accordi sono fatti dall’amministrazione procedente in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10 e riguardano il contenuto del provvedimento finale (art. 11 co. 1). Tale norma, inserendo l’accordo all’interno del procedimento, comporta che la proposta del privato, considerabile alla stregua di una proposta contrattuale, deve seguire il regime delle memorie scritte e documenti e che quindi:

  • deve avere forma scritta;
  • fa nascere l’obbligo della sua valutazione da parte dell’amministrazione;
  • deve esserne data visione (diritto di accesso) ai soggetti legittimati.

La conclusione degli accordi al di fuori del procedimento potrebbe avere conseguenze sulla validità sia dell’accordo sia del provvedimento eventualmente conseguente.

La stipulazione dell’accordo deve essere preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento , a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa (co. 4 bis). Con tale atto di determinazione, in particolare, si intende realizzare la c.d. evidenza pubblica, rendendolo conoscibile e valutabile da chiunque (trasparenza). La sottoposizione degli accordi a regole procedimentali comuni ai provvedimenti pubblici si completa con la previsione che gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi (co. 3).

In passato si sosteneva che il principio della revocabilità dei provvedimenti amministrativi fosse incompatibile con l’assunzione di vincoli di tipo contrattuale da parte di un’amministrazione pubblica. Per superare questa obiezione è stato previsto che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo (co. 4). Tali motivi sopravvenuti devono necessariamente fondarsi su circostanze diverse rispetto a quelle che era possibile prendere in considerazione nel momento in cui fu fatto l’accordo. Sotto questo profilo, quindi, l’istituto del recesso è ben distinto da quello della revoca, la quale, al contrario, può essere fondata anche su una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Dal momento che la sottoposizione degli accordi in questione alla giurisdizione sia pubblicistica che privatistica rischierebbe di creare una situazione piuttosto disagevole, il legislatore ha disposto che le controversie in materia di formazione, di conclusione ed esecuzione degli accordi devono essere riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (co. 5).

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