Il Conseil d’Etat ha progressivamente trasformato una giurisdizione fondata sulle prerogative dell’amministrazione in una giurisdizione di equità, trovando terreno fertile nel “recours pour excès de pouvoir” e nell’estensione della responsabilità amministrativa.

In sostanza le soluzioni legislative erano affiancate dalle decisioni della giurisprudenza, chiamata per questo “deuxième legislation”: dominava quindi un’idea di equilibrio fra poteri pubblici e garanzie dei cittadini.

Nei primi decenni del XX secolo la dottrina assimila l’insegnamento di un Conseil d’Etat non più soltanto guardiano vigile delle prerogative dell’amministrazione, ma anche protettore degli interessi individuali, affiancando alla fermeté la mansuetude.

Per quanto riguarda specificatamente l’eccesso di potere, inizialmente si sviluppa il controllo giudiziario sul “detournement de pouvoir”, indagando sullo sviamento dello scopo perseguito dall’atto amministrativo rispetto alla sua destinazione legale.

Progressivamente lo “sviamento” perde la sua efficacia garantistica di fronte alla pluralità dei fini perseguiti dall’amministrazione, perché il giudice amministrativo ritiene che se anche alcune delle finalità del provvedimento risultino giustificate, non possa addivenirsi all’annullamento.

Il ricorso per eccesso di potere si sviluppa allora in modo più proficuo grazie ad altre figure:

  1. L’errore di fatto, il cui controllo era inizialmente limitato alla verifica dell’esistenza e dell’esattezza dei fatti. Successivamente si sviluppa un controllo più penetrante con l’erreur manifeste de apreciacion, cioè un errore evidente nella valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, come ad esempio un’errata valutazione dell’esistenza di un pericolo per l’ordine pubblico: si passa dalla mera esistenza ed esattezza del fatto, ad una valutazione sul valore. In tal modo il giudice amministrativo giunge alle soglie del controllo di opportunità, col limite però del carattere palese dell’errore amministrativo nell’apprezzamento dei fatti.
  2. Il bilan cout-avantages, che consente al giudice di controllare l’equilibrio fra costi e benefici arrecati da un’operazione amministrativa, e di annullare un provvedimento ove risulti una sproporzionata prevalenza dei costi. Ad esempio, in un caso concernente un’espropriazione di immobili per la realizzazione di un complesso universitario, si è stabilito che un’operazione non può essere dichiarata di utilità pubblica se non quando le limitazioni alla proprietà non siano eccessive rispetto all’interesse che la medesima presenta.

Successivamente il giudice ha preso in considerazione anche il principio di precauzione, affermando che occorre valutare il rischio dei danni che le misure precauzionali possono prevenire, ma occorre anche verificare se l’impatto di tali misure sia eccessivo.

È chiaro che si tratta di un controllo idoneo a ripetere la ponderazione comparativa di interessi propria della discrezionalità amministrativa, inducendo quindi il giudice alla prudenza, addivenendo all’annullamento solo nel caso in cui i costi superino i vantaggi “in misura eccessiva”.

La figura dell’eccesso di potere si è oggi ancor più sviluppata ed esteso la sua portata garantistica. Si prendono infatti in considerazione deviazioni da criteri come diligenza e buona fede. In tal modo si allargano i confini della legalità, fino a ricomprendere i principi generali del diritto.

Il problema del confine fra legittimità e opportunità, e dei limiti del sindacato sull’eccesso di potere affatica dottrina e giurisprudenza da lungo tempo.

Secondo le tesi legaliste il giudice dell’eccesso di potere si limita ad un sindacato di legittimità; invece secondo le tesi moraliste il sindacato sull’eccesso di potere censura la violazione di criteri come buona amministrazione e moralità amministrativa, distinta dai canoni rigidi della legalità. Le tesi moraliste declinano dopo gli anni Trenta.

Certo, le aperture giurisprudenziali verso un più esplicito giudizio di congruità costringono la dottrina a riconoscere che in taluni casi, eccezionalmente, il giudice penetra nel controllo di legittimità, ma la regola resta quella della verifica della legalità: l’eccesso di potere è considerato come violazione di norme (regles de droit), di principi generali, e di standards, cioè criteri flessibili stabiliti dagli amministratori e dal giudice amministrativo (che tuttavia oggi trovano riscontro nella costituzione e nella normativa internazionale).

Talora, tramite i principi, il giudice si autolimita: ad esempio recentemente il Conseil d’Etat ha stabilito che il vizio di forma determina l’illegittimità dell’atto solamente se è suscettibile di aver influenzato il senso della decisione o se ha privato gli interessati di una garanzia.

Ad ogni modo, al di là della ricostruzione dogmatica del fenomeno, è certo che in Francia il controllo giurisdizionale sull’eccesso di potere ha assicurato gradualmente una verifica della discrezionalità amministrativa assai più intensa di quel che si riscontra in altri paesi.

Ciò a conferma del fatto che il sistema del droit administratif originariamente seguace dell’autorità ha saputo, nell’ambito del contenzioso amministrativo, comprendere i valori delle libertà con una forza talora superiore a quella espressa dall’esperienza giuridica di ordinamenti a tradizione liberale, come quelli britannico e statunitense.

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