Le competenze attribuite alle singole amministrazioni possono essere “piene” (ossia “competenze esclusive”: questa soluzione si applica all’esigenza di semplificazione dell’azione amministrativa, facilitando l’individuazione dei centri responsabilità cui imputare singole scelte. La legge Bassanini doveva servire ad affidare queste competenze in via esclusiva a Stato, regioni ecc., invece successive leggi hanno disatteso ciò, creando attribuzioni congiunte) ovvero “parziali”, generando dei fenomeni complessi di cogestione richiedenti collaborazione orizzontale/verticale di più amministrazioni. I fenomeni di coamministrazione o cogestione si verificano quando la cura di un certo interesse richiede l’esercizio di più funzioni, ripartite orizzontalmente o verticalmente tra amministrazioni diverse. Il modello nasce comunitario ma trova riscontro anche nell’ordinamento interno. Sicuramente la natura dell’interesse genera i fenomeni di complessità organizzativa: in alcuni casi non c’è corrispondenza tra un interesse e una sola funzione, quindi occorre l’esercizio congiunto di più funzioni che attengono a centri istituzionali differenti. Ad esempio per massimizzare l’interesse al turismo è necessario l’esercizio di funzioni attinenti a trasporti, cura ambiente ecc. Ogni interesse poi tende a scomporsi in vari profili che attengono a collettività territoriali differenti (cosiddetta “amministrazione multilivello”). La scomposizione a volte è dettata anche dalla natura dell’interesse. Abbiamo poi delle ipotesi in cui funzioni attinenti alla cura di un certo interesse sono ripartite tra più amministrazioni di un ente territoriale o di diversi livelli e la cura dell’interesse si realizza con meccanismi di condivisione delle scelte che complicano l’individuazione delle rispettive responsabilità. La condivisione può esser realizzata a livello organizzativo (creando organismi svolgenti funzione di coordinamento tra vari interessi come ad esempio comitati interministeriali) ovvero a livello procedimentale (attraverso istituti di semplificazione come ad esempio la conferenza di servizi).

Nei rapporti tra uffici il modello tradizionalmente usato per inquadrare questo tipo di rapporti è quello della gerarchia. Questo tipo di rapporto implica la totale subordinazione del soggetto sottoposto a quello superiore, quindi l’assenza nel primo di una competenza funzionale, non avocabile. Il superiore può controllare gli atti anche nella loro opportunità, esercitare un potere di sostituzione con piena discrezionalità, emanare atti chiamati “ordini” che richiedono mera esecuzione, anche se illegittimi, col solo limite della legge penale. Questo tipo di rapporto è rimasto solo nel settore militare. Per gli altri settori dell’amministrazione è sostituito dalla formula del rapporto gerarchico “improprio” che si caratterizza per il fatto che il superiore può esercitare solo alcuni dei poteri prima indicati, restandogli precluso l’esercizio di altri (ad esempio l’avocazione). Il potere tipico in cui si sostanzia un rapporto di sovra ordinazione fra diversi soggetti è quello di “direzione”: essa si concretizza nella determinazione degli obiettivi da conseguire e nella verifica dei risultati. L’atto tipico è la “direttiva”. La giurisprudenza ha chiarito che l’inosservanza della direttiva non implica invalidità dell’atto di diritto privato posto in essere dall’ente, salvi gli effetti di dir amministrativo nei confronti dell’autore dell’inosservanza. Nei rapporti intersoggettivi non sempre sussiste un potere di direzione: la sovra ordinazione può concretizzarsi in modo più blando in un semplice potere di vigilanza. Il contenuto di questo potere non è univoco, sebbene deve almeno comportare un potere di ispezione e scioglimento degli organi con nomina di un commissario in caso di gravi disfunzioni. Comunque al di là di questo vi è una tipologia articolata e differenziata di strumenti procedimentali e organizzativi che determinano concretamente il grado di sovra e sotto ordinazione o, a contrario, di autonomia: ciò si realizza oltre che con le direttive, con le approvazioni e le autorizzazioni ad adottare atti. L’approvazione può avere vario oggetto e vario contenuto (ad esempio può effettuare controllo di mera legalità, oppure verificare l’opportunità dell’atto). Gli strumenti organizzativi che determinano un rapporto di sovra ordinazione si concretizzano in particolare nella conformazione degli organi degli enti che (tranne che in alcuni enti associativi) sono nominati dall’amministrazione vigilante o su sua proposta da autorità superiori.

Inerisce a ogni rapporto di sovra ordinazione una “funzione di controllo”(ossia l’insieme delle operazioni rivolte alla verifica della conformità a certe regole degli atti o delle azioni altrui) che può però esser attribuita anche a organi esterni non sovra ordinati aventi esclusivamente questa funzione. È una funzione molto ampia, per questo sono necessarie alcune distinzioni. La prima di esse riguarda l’oggetto: è possibile separare il controllo sugli organi da quello sugli atti e anche dal controllo sulle attività poste in essere e sulle eventuali omissioni imputabili all’amministrazione (cosiddetto controllo sostitutivo: ad esempio 120 2° Costituzione che prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città, province e comuni quando non rispettano trattati internazionali). Il controllo sugli organi è previsto da norme specifiche, comportando il potere di scioglimento degli organi nei casi previsti dalle norme stesse. Il controllo sugli atti può esser distinto con riferimento alla natura del criterio adottato in: controlli di legittimità (se il parametro è la legge) e controlli di merito in relazione all’opportunità e controlli di gestione i quali sono relativi all’attività complessiva posta in essere nell’uso delle risorse e nei risultati conseguiti in rapporto agli obiettivi posti. Rispetto al controllo di legittimità ne abbiamo due tipi: uno successivo (cioè interviene dopo ce l’atto ha iniziato a produrre i suoi effetti: ad esempio Corte dei Conti su alcuni atti dell’amministrazione statale ex l.20/1994) e uno preventivo. Un’ultima distinzione va fatta con riferimento alla collocazione del soggetto controllore: abbiamo in questo senso controlli interni (se l’ufficio di controllo è della stessa amministrazione: esempio nucleo di valutazione di cui ogni amministrazione deve fornirsi) ovvero esterni (se l’organo di controllo è esterno: esempio Corte dei Conti sulle ragionerie delle regioni). Si stanno sempre più sviluppando controlli successivi: ciò espone il funzionario a giudizi di responsabilità che non possono aver luogo quando il controllo precede l’efficacia dell’atto.

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