Le invasioni barbariche vengono solitamente considerate corresponsabili della crisi dell’impero; queste erano perlopiù scorrerie di tribù che varcavano le frontiere ai fini di saccheggio e di bottino.

I barbari non sono comunque da considerarsi dei veri nemici dell’impero; nonostante essi abbiano attuato tali efferatezze, il loro fine non era quello di distruggere l’impero.

I barbari erano o mercenari o milites fodererati, ovvero popoli stretti da una alleanza o foedus con il trono, che avevano combattuto sotto le bandiere di Roma e, se si erano ribellati, l’avevano fatto spesso perché l’imperatore non avevano mantenuto qualche promessa con loro o non li aveva pagati puntualmente o aveva mostrato loro ingratitudine.

Devastazioni come il sacco di Roma sono dovute al fatto che erano sicuramente stati violati gli accordi presi con l’impero, dall’impero stesso.

Il legame che intercorre tra i barbari e l’impero si evince da diversi elementi; essi infatti assumono il titolo di Flavius, il quale configura una parentela fittizia con la seconda dinastia dei Flavi, che ebbe inizio con Costanzo Cloro (padre di Costantino) e culminò con Costantino stesso.

Il titolo di Flavius era strettamente legato a quello di Patrizius, che Costantino attribuiva i più grandi militi dell’esercito; questo è un titolo che veniva attribuito anche ai grandi generali romani. Quando ad una persona si adduceva il titolo di Patrizio, questa diveniva automaticamente anche Flavio.

I barbari però si auto attribuivano l’appellativo di Patrizi, mostrando in tal modo la loro volontà di essere considerati dei veri e propri romani.

La fase iniziale dell’avventura dei barbari fu segnata dal saccheggio di Roma, compiuto nell’estate del 410 da Alarico, re dei Visigoti. Il titolo di rex riproduceva quello gotico di reikis, accreditato nella società barbarica di un valore leggermente diverso da quello latino: esso veniva attribuito ai maggiori esponenti delle tribù e inizialmente alle loro intere famiglie, è solo col tempo si era venuto specificando designare la persona eletta dalla tribù a capo politico e a comandante militare.

Alarico, inizialmente, era quindi il comandante militare. Questi morì nell’autunno del 410.

Gli successe Ataulfo, il quale condusse nel 412 i Visigoti in Gallia. Questi nel 414 sposò Gallia Placidia, figlia di Teodosio il grande, sua prigioniera da qualche tempo. Con tale matrimonio egli mostrò una forte vicinanza alla romanità, uniformandosi al suo mito.

L’avvicinamento dei Visigoti alla romanità è legato alla loro rinuncia delle leggi barbare per accostarsi a quelle romane.

Nel 506 Alarico II, re dei Visigoti, emana un complesso normativo che prese il nome di lex romana

Wisigothorum, conosciuta anche come breviarium Alarcianum, caratterizzato dalla presenza, al suo interno, della dicotomia lex- iura.

Questo complesso normativo, emanato dei Visigoti, contiene norme di diritto romano, costituzioni tratte in buona parte dal codice Teodosiano (vi è inoltre qualche costituzione di Teodosio II); in esso vi sono iura tratti dal liber Gai, dalle Pauli Sententiae, qualche frammento di Papiniano e rescritti del codice Gregoriano ed Ermogeniano. Questi ultimi vennero probabilmente erroneamente concepiti come iura e non come leges.

Tutte le fonti tratte dal diritto romano (lex – iura) sono riportati tutti informò originale, andando rispecchiare un buon livello cultura.

La lex romana Wisigothorum si affianca alla preesistente lex Wisigothorum. Questa si colloca ipoteticamente nel 476 (anno della caduta dell’impero romano di Occidente), il cui nucleo principale è probabilmente riconducibile a Eurico.

Ci si chiede dunque come sia possibile che due raccolte normative così simili siano vigenti

contemporaneamente nello stesso territorio. Probabilmente i Visigoti venivano tutelati unicamente dalla lex Wisigothorum; per la tutela di romani veniva invece utilizzata la raccolta normativa contenuta nella lex romana Wisigothorum.

Da questo differente utilizzo si percepisce dunque una mera personalità della legge: i Visigoti utilizzavano per la loro tutela leggi Visigote; i romani insiti all’interno del territorio dei Visigoti, leggi romane.

Ciò andava però a contrapporsi alla territorialità del diritto: secondo la quale in un territorio fingeva per tutti il medesimo ordinamento.

Risulta dunque difficile pensare come il principio della personalità, tanto diffuso nell’età Carolingia, fosse vigente anche nell’ambito dei Visigoti.

Nella lex Wisigothorum si rinvengono leggi destinate a ecclesiastici, consorti, eretici, lavoratori, ecc.,tutti individui che potevano essere sia Visigoti che romani; dunque tale raccolta, proprio come la lex romana Wisigothorum, valente anch’essa sia per i romani che per i Visigoti, è caratterizzata dalla territorialità.

La contemporaneità delle due raccolte normative può essere spiegata unicamente facendo riferimento la volontà dei barbari ad accostarsi di inserirsi all’interno della romanità.

Il primo approccio si era avuto con la lex Wisigothorum.

La successiva lex romana Wisigothorum, rappresenta dunque un punto d’arrivo. Laddove la precedente legge fosse stata la commossa nel regolamentare i rapporti tra gli individui del regno visigoto veniva utilizzata quest’ultima.

Tale legge, da Isidoro di Siviglia viene definita lex Mundialis, ovvero legge universale.

Egli nel 619 cercò di risolvere tutte le problematiche inerenti l’ambito giuridico nell’ambiente ecclesiastico; la soluzione si trovò mediante il riferimento al complesso normativo della lex romana Wisigothorum. In tale data venne infatti indetto un asinodo; Isidoro di Siviglia era un vescovo e, insieme agli altri vescovi, cercò di risolvere i problemi giuridici della Chiesa mediante tale legge, che da lui verrà appunto nominata legge universale, ovvero la legge che varrà per tutti quelli che sono stabiliti nel territorio dei Visigoti (carattere territoriale dell’ordinamento), all’interno dell’impero.

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