Intanto la dottrina canonistica bolognese veniva sviluppando la teoria della piena potestà temporale del re: «ogni re ha nel suo regno gli stessi diritti che l’imperatore ha nell’impero», intendendo per impero solo il territorio dei tre regni di Germania, d’Italia e di Borgogna.

Quasi sempre le tesi anti-imperiali sono state enunciate da giuristi provenienti da regioni esterne rispetto all’impero: dall’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Francia. Contro il «regno teutonico» risuonarono talvolta voci apertamente ostili, con echi quasi nazionalistici. Per il regno normanno di Sicilia, la plena potestas del re era stata affermata da Ruggero Il sin dal 1140 e fu più tardi teorizzata da alcuni giuristi come Marino da Caramanico.

La realtà storica incoercibile degli Stati monarchici si impose dunque anche al livello della dottrina giuridica, che formulò precocemente alcuni spunti sulla sovranità destinati a venire ripresi dal pensiero moderno. Le teorie giuridiche elaborate per giustificare i fondamenti dell’impero ebbero vita ben più lunga: esse raggiunsero anzi la piena maturità concettuale solo nel Trecento.

Con i giuristi bolognesi Si riafferma la supremazia dell’imperatore come vertice di una grande persona giuridica al cui interno vi sono una quantità di universitates minori; e come al vertice di ogni universitas stava un’autorità legittima il cui titolare ne era tuttavia il dominus; così al vertice dell’universitas suprema era posta l’autorità dell’imperatore, il quale in tal senso poteva veramente qualificarsi, in termini giuridici, «dominus mundi».

Accanto al potere di emanare leggi generali erano loro riconosciute la competenza nelle controversie tra sovrani e la giurisdizione d’ultima istanza; nonché il potere di nominare giudici e notai, di emancipare i minori, di legittimare i figli naturali, di creare nuove università, di concedere la cittadinanza, di esentare dal pagamento di tributi. Era un complesso di funzioni ormai raramente esercitate, dopo la metà del Duecento, al di fuori dei territori tedeschi. Per di più quasi nessuna di esse aveva carattere esclusivo, in quanto poteva venir svolta anche da autorità diverse da quella del «re dei Romani». Tuttavia, non ogni potere collegato alla carica imperiale era venuto meno: nell’Italia del tardo Trecento, ad esempio, la concessione del vicariato imperiale a Gian Galeazzo Visconti (1395) ebbe forti implicazioni di potere e di diritto pubblico abilitando tra l’altro il duca di Milano a compiere infeudazioni prima d’allora a lui precluse.

Già si sa come il pensiero medievale collegasse strettamente l’impero alla Chiesa. L’imperatore riceveva la corona dalle mani del papa. Fu questo legame con la Chiesa a fornire in più occasioni alla dottrina l’argomento fondamentale per sostenere la tesi della supremazia dell’impero e delle sue leggi anche al di fuori dei tre regni di Germania, d’Italia e di Borgogna: le leggi romane obbligano tutti proprio in quanto sono approvate dalla Chiesa. L’imperatore è avvocato generale della Chiesa, e ciò è sufficiente a giustificare la sua funzione e il suo ruolo in ogni parte della cristianità.

L’ideale di una monarchia universale trovò compiuta espressione nell’opera scritta da Dante Alighieri. Dante sosteneva la tesi della dignità originaria e suprema del potere imperiale: originaria perché derivante e voluta direttamente da Dio per la tutela dell’ordine temporale e pertanto non dipendente dall’intervento della Chiesa né del papa, cui spettava invece la tutela dell’ordine spirituale; supre- ma perché operante nei confronti dell’intero mondo cristiano.

Nella concezione di Dante i poteri dell’imperatore sono di due ordini.

  • Vi è un potere legislativo che concerne i principi generali posti a garanzia del bene comune e della pace, il quale entro tale sfera si estrinseca in leggi valide ovunque;
  • E vi è un potere giurisdizionale anch’esso supremo, che si esercita nei confronti dei regni allo scopo di dirimere i contrasti che li dividono evitando così il ricorso alla guerra.

L’imperatore è dunque legislatore e giudice entro l’intera «res publica christiana». Per la conservazione della pace dell’intero genere umano l’impero «è necessario al mondo».

Si trattava, certamente, di una visione utopistica. La sua concezione dell’impero era ispirata piuttosto al principio che oggi chiameremmo di sussidiarietà: l’impero doveva limitarsi ad assolvere a quelle funzioni supreme che gli ordinamenti inferiori non erano in grado di svolgere in modo adeguato. Inoltre, il potere civile culminante nella persona e nelle funzioni dell’imperatore si voleva rigorosamente separato dal potere ecclesiastico.

Laicità, universalità, sussidiarietà dell’impero: tre aspetti di una visione coerente della sovranità, dei quali solo il primo sarà attuato nel corso dell’età moderna, mentre gli altri due rimarranno obiettivi non raggiunti sino all’età contemporanea.

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