Nel 325 Costantino indice il Concilio di Nicea, al fine di combattere l’arianesimo, eresia che rimanda ad Ario. Tale eresia aveva a che fare con la sostanza umana e divina del figlio. Gli ariani non riconoscevano al Cristo alla natura divina, ma unicamente quella umana, considerandolo unicamente un uomo e non Dio, non riconoscendo perciò la consubstantia.

Questo concilio doveva dimostrarsi utile al fine di sconfiggere l’arianesimo, il quale, come tutte le altre eresie, andavano ad intaccare l’universalità.

Costantino, in un ritratto di questo concilio, ci appare seduto sul trono in una posizione preminente rispetto a quella di vescovi. Non sappiamo con certezza se lui influenzò anche l’ambito religioso del concilio; probabilmente egli aveva tendenze Cesaropapiste, ovvero mostrava che gli atteggiamenti atti ad inserirsi nel dogma di fede e di religione; e gli infatti sono preoccupato di interferire anche di affari della Chiesa.

Nonostante fosse stato istituito il Concilio di Nicea, l’arianesimo non fu sconfitto, ma ebbe una larga diffusione (Italia, Gallia, Iberia), nello stesso Costantino, alla fine della sua vita, divenne ariano.

Costantino aveva un fine politico ed utilizzava la religione per conseguire degli scopi inerenti lo Stato. Egli, in modo pagano, il 3 luglio del 321, istituì la festività del dies soli. Essa si trasformò nella dies dominicia solo più tardi. La nascita della festività rappresentò perciò un tributo reso dall’imperatore al culto solare; ciò evidenzia l’ambiguità delle convinzioni religiose del monarca fino a questa data.

Inoltre, tale ambiguità, diviene evidente quando Costantino eresse Costantinopoli, consacrata mediante riti pagani, ed avente nel cuore (della città stessa) una statua del sole.

Lo stesso Costantino diventò ariano. Alla fine della vita si fece battezzare dal vescovo Eusebio di Nicomedia, sicché quando nel 337 a morte colse imperatore, dovette coglierlo da eretico.

Il figlio di Costantino, Costanzo II, fu eretico, che si adoperò per trasferire alla Chiesa ariana la patente di “cattolica”, è poco mancò che ci riuscisse. L’atteggiamento di Costanzo II era sicuramente cesaropapista.

Gli ariani, confermando l’ingerenza esistente tra Stato e Chiesa, ovvero lo stretto legame tra arianesimo e cesaropapismo, riservarono due appellativi all’imperatore e al figlio: Costantino venne ritenuto episcopus externus (vescovo esteriore), e, secondo questa qualifica, non si occupava dei problemi di fede, ma disciplinava il problema religioso nelle estrinsecazioni temporali; Costanzo II ricevette la qualifica di episcopus episcoporum, ovvero di vescovo dei vescovi, il quale non lascia alcun dubbio uno sul suo atteggiamento cesaropapista.

La vittoria del cattolicesimo romano fu sanzionata nel 380. Teodosio I il grande, d’origine iberica e di sicura fede nicena, emanò gli celebre editto di Tessalonica che impose a tutti i sudditi dell’impero di seguire la religione segnata dall’apostolo Pietro professata dal pontefice Damaso di Roma e dal vescovo Pietro di Alessandria. Il cattolicesimo niceno- apostolico veniva così elevato al rango di religione di Stato, giuridicamente obbligatoria per tutti.

Le due sedi di Roma e di Alessandria citate nell’editto di Tessalonica a parità di grado, devono l’onore al singolare prestigio goduto dei due grandi titolari.

La situazione creata da tale editto fece emergere un grande problema: quello dell’unità del comando, che Roma tradurrà nella rivendicazione di quel primato papale cui Bisanzio invece si opporrà e finirà per negarle.

Il riconoscimento ufficiale del primato papale si ebbe infatti già l’anno successivo in oriente: lo sancì il concilio di Costantinopoli del 381, la famosa assemblea pietra miliare nella storia della teologia cattolica che si ricorda per la sanzione che diede alla divinità dello spirito santo e quindi alla trinità. Il concilio nello stabilire una gerarchia delle sedi maggiori, collocò Roma al primo posto, e al secondo posto mise Costantinopoli: era la capitale dell’imperatore d’oriente, considerato collega maior di quello occidentale; quest’ultimo era inoltre considerato un collega minor che nemmeno risiedeva a Roma, perché aveva preferito Milano.

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