Si possono citare molti metodi di approccio alla comparazione giuridica, ma il professore fa riferimento esclusivamente ai quattro metodi principali:

  • comparazione informativa (informale): questo è un metodo molto diffuso nello scambio tra ambienti scientifici che può aversi in due modalità diverse:
    • studi che si limitano alla sola ricognizione del diritto straniero;
    • overwiew della legislazione di un determinato paese, compiuta di norma da un giurista di quello stesso paese a beneficio del lettore straniero.

In questi caso quello che rileva è l’assenza di uno dei due dati da comparare (dimensione uni-sistematica): vi è un’enunciazione unilaterale delle peculiarità del diritto, la quale produrre una comparazione meramente informativa e ben poco idonea all’approfondimento (giudizio negativo).

Possiamo comunque definire tale metodo come una forma di comparazione: l’indagine, infatti, passando attraverso un continuo raffronto tra sistemi diversi, prevede comunque un secondo termine di paragone (comparazione sui generis). L’overview può essere considerata comparazione perché colui che spiega il proprio sistema deve tener conto dell’estraneità dei destinatari all’informazione e quindi deve rendere comprensibile la sua illustrazione. Gli studi ricognitivi, allo stesso modo, sono da considerarsi comparazione perché colui che li effettua non si limita mai ad una mera lectura codicis;

  • comparazione per modelli: questo metodo muove dal dato normativo per arrivare a successive astrazioni e generalizzazioni. Esso parte dall’assunto che i sistemi giuridici e le regole che li compongono vengono classificati in famiglie, ossia in genus e species (es. sistema accusatorio, sistema inquisitorio). Tale metodo comparatistico, utile sui singoli aspetti dei sistemi (es. dato che i sistemi penali possono essere accusatori o inquisitori, se vi è un modello di riferimento quando si fa una riforma occorre tener conto delle sue caratteristiche in modo da capire quante cose occorre cambiare per passare da un sistema ad un altro), sulle questione maggiormente rilevanti lascia il tempo che trova: il difficile, infatti, sta nel fatto di mettere a fuoco un modello, ossia nel ricercare i suoi elementi essenziali e caratterizzanti (es. la presenza della giuria non è mai stata considerata un elemento caratterizzante del sistema adversary). Questo approccio comparatistico, comunque, si dimostra maggiormente approfondito di quello informativo, dal momento che presenta un alto livello di astrazione;
  • comparazione per modelli storicizzati: in questo caso la comparazione si accompagna alla storicizzazione dei suoi risultati, dal momento che si và ad indagare il perché in un dato paese si è giunti ad adottare un particolare modello invece che un altro (es. stabilito che un sistema aderisce ad un modello penale accusatorio, occorre chiedersi quale sia il motivo alla base di questa scelta). Tale modello, per quanto valido, rischia di fare del penalista uno storico o sociologo del diritto improvvisato;
  • comparazione per formanti: questo metodo presuppone che si mettano in discussione dentro di noi le certezze che abbiamo con riferimento al diritto (es. diritto composto da norme e regole scritte per il cittadino di civil law). Il metodo dei formanti segue la corrente filosofica del realismo giuridico, che afferma la natura fattuale del diritto: il diritto non è quello scritto nei codici, ma quello stabilito dai giudici. Tale corrente, nata negli Stati Uniti a fine Ottocento (es. Sacco, Gambaro, Mattei), porta a prendere in considerazione il diritto come appare nella pratica e non come sta scritto formalmente nei codici. Questa corrente viene a collocare la scienza comparatistica tra le scienze storiche, dal momento che essa, al pari di queste ultime, studia il diritto fattuale e non quello codicistico. Il realismo, in particolare, ritenendo che i codici rappresentino una minima parte delle regole, afferma l’impossibilità di sapere quale siano quelle vere con certezza. Il giurista è quindi nella stessa posizione dello scienziato, che prende in considerazione una regola non scritta ma esistente nella natura. Tale impostazione, affermando che le vere regole vanno scoperte nella fattualità, porta a diffidare radicalmente di uno studio del diritto fondato sul raffronto tra dati positivi. Non sono tuttavia sufficienti timide aperture verso la prassi quali, ad esempio, l’analisi della giurisprudenza. Per il giurista risulta essenziale considerare quanto contribuisce a plasmare la regola operazionale effettivamente praticata, che deve essere tenuta distinta dalla verbalizzazione di tale regola (es. codici, norme scritte). Per denominare i fattori incidenti su una regola operazionale si fa riferimento al concetto di formanti (espressi o inespressi), la ricerca dei quali risulta essenziale per un’autentica comprensione dell’esperienza giuridica e dei suoi meccanismi. La teoria dei formanti, nelle sue versioni meno estremiste, afferma che i codici (formante espresso legislativo) hanno una loro importanza, ma che a questi vanno affiancati nuovi formanti, come ad esempio la giurisprudenza o la dottrina. Gli estremisti, al contrario, affermano che, accanto a questi formanti espressi, ve ne sono molti altri, criptici ma decisivi per la formazione del diritto (es. mentalità, formazione, attitudini, credenze). Tale visione, tuttavia, rischia di portare al paradosso la giustificazione e la comprensione dei singoli casi. A fronte di tale analisi, si comprende come alla comparazione spetta un ruolo centrale: l’analisi comparatistica, infatti, consente di dissociare i formanti, mettendo a fuoco la reale incidenza di ciascuno di essi e scoprendo le regole rimaste inespresse.
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