Prendendo in esame il disposto dell’art. 258, sembrerebbe non esservi deroga al principio per cui il riconoscimento del figlio produce effetti soltanto riguardo al genitore da cui fu fatto. Al contrario vi sono alcuni altri articoli che derogano a questo principio:

  • art. 148: assume rilevanza anche il rapporto naturale che il minore ha con il nonno, in quanto i genitori non hanno i mezzi necessari per provvedere al suo sostentamento.
  • art. 433: in materia di obbligo nella prestazione di alimenti, assume rilevanza la discendenza naturale.

Con il passare del tempo la famiglia di fatto ha assunto sempre maggior importanza, tanto che nell’art. 317 bis incontriamo una nuova e diversa rilevanza della filiazione naturale, dove viene dato risalto alla convivenza dei genitori che diventa elemento vincolante per l’applicazione di quel potere-dovere a loro attribuito per la realizzazione di un interesse altrui.

Presa dal punto di vista degli effetti sui figli, infatti, a seguito della riforma sul diritto di famiglia del 1975, la situazione di fatto della convivenza diventa situazione di pieno diritto. Questa nuova politica nei confronti della situazione di fatto della convivenza è riscontrabile anche in materia di rapporti di locazione, con riguardo alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’art. 6 della legge n. 392 del 1978, laddove stabiliva che non vi fosse differenza tra il convivente ed il coniuge nel diritto alla casa, in quanto questo era attribuito esclusivamente in favore della prole. Una successiva sentenza della Corte, tuttavia, prescinde addirittura dalla prole, riconoscendo la convivenza more uxorio come equivalente ad una situazione di diritto.

Possiamo quindi concludere che, in maniera abbastanza generalizzata, alla famiglia di fatto sono riconosciute tutele equivalenti a quelle della famiglia legittima. Questo è risultato necessario tanto più in funzione del fatto che talvolta il periodo di separazione può durare anche molti anni, impedendo così agli ex coniugi di sposarsi nuovamente e costringendoli a lungi periodi di convivenza con la nuova compagna o con il nuovo compagno. A questo proposito la recente giurisprudenza, nonostante in convivenza non sussista il dovere di contribuzione, tende a riconoscere come liberalità le dazioni di denaro del coniuge nei confronti della nuova compagna o del nuovo compagno.

Il problema che sembra nascere, quindi, non è più quello di avvicinare il più possibile la situazione di fatto della convivenza con la situazione di diritto del matrimonio, quanto piuttosto quello di dare una definizione al concetto stesso di convivenza . Risulta infatti necessario distinguere tale concetto da quello di mera coabitazione occasionale , nella quale, ad esempio, non può essere presa in considerazione l’obbligazione naturale, che invece deve essere considerata nella convivenza, dove è riscontrabile il dovere morale del convivente che rende irripetibile la prestazione.

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