Constant, ovvero l’anti Rousseau, ma anche l’anti Hobbes. Constant recupera il tema del garantismo e lo rilancia in termini radicali. “non conosco sicurezza pubblica senza garanzia individuale”. Egli reclama tribunali indipendenti con giudici inamovibili. Il suo liberalismo privilegia gli aspetti costituzionali del funzionamento del potere. Il suo è un liberalismo istituzionale molto sensibile alle tecniche di gestione dei regimi politici. Le forme sono la garanzia più sicura contro l’arbitrio. Dal potere costituente egli passa al potere costituito, che innova il quadro normativo senza infrangerlo. Constant trova “utile e ragionevole lasciare ai poteri costituiti la facoltà di perfezionare l’atto che determina le loro attribuzioni e che fissa i loro rapporti reciproci”.

Un punto fermo è per lui che “i cittadini possiedono diritti individuali indipendenti da ogni autorità sociale o politica e ogni autorità che viola questi diritti diviene illegittima”. Insomma anche in Constant trovano ospitalità i “principi eterni di giustizia e di pietà”. Per Constant “una costituzione è la garanzia della libertà di un popolo”. Il primato della sovranità popolare non può più essere contrastato. “L’obbedienza va fondata sul consenso e non sulla paura”. Il fatto che il consenso del popolo legittima il potere non significano che tacciano i valori della legalità dell’esercizio del potere. “La libertà degli individui può essere perduta malgrado questo principio, o addirittura a causa di esso”. Limitare la sovranità, anche quella del popolo, è dunque un imperativo irrinunciabile. Per Constant il potere senza limiti “è un male quali che siano le mani cui lo si affida”.

Tra pubblico e privato, tra comunità e singolo, esiste una demarcazione che neppure in un governo popolare può essere azzerata impunemente. Il garantismo dei diritti individuali oltrepassa i limiti angusti di ogni economicismo. “laddove incominciano l’indipendenza e l’esistenza individuale, si arresta la giurisdizione della sovranità”, proclama Constant.

Un ulteriore attacco che Constant scaglia contro Rousseau concerne la nozione di volontà generale. Il bene comune è distinto ma non contrario agli interessi particolari. Un interesse generale che si afferma scompaginando la molteplicità degli interessi particolari è un ben strano interesse collettivo. Lo sforzo che Constant compie è quello di definire, su interessi riconosciuti come ineliminabili punti di partenza, un complesso reticolo istituzionale. Una sfera pubblica di controllo, di discussione razionale è invocata come garanzia “contro gli atti arbitrari del potere”.

Secondo Constant lo spauracchio da evitare con ogni mezzo è l’uso illegale del potere o usurpazione. La separazione dei poteri significa “determinare l’ambito dei diversi poteri” secondo rigoroso forme che predefiniscono l’ambito decisionale di ciascuna autorità e la riparano “da situazioni inattese e da conflitti involontari”. Occorre porre argini all’onnipotenza legislativa altrimenti “la stessa separazione dei poteri diviene un pericolo ed una calamità”. La sanzione reale o il diritto di veto segnano un limite all’arbitrio del legislativo, alla deriva normativa del potere. Solo un potere costituzionale esterno all’assemblea può arginare lo straripamento dei poteri attraverso la grande minaccia dello scioglimento del parlamento.

Constant teme la sovranità popolare senza vincoli. Per lui esistono, in un buon congegno costituzionale, cinque diversi poteri che agiscono di concerto: il potere regio, l’esecutivo, il rappresentativo durevole, il rappresentativo dell’opinione, il giudiziario. Le misure che Constant escogita per scongiurare una deriva demagogica della funzione parlamentare sono: allestire una camera ereditaria dotata di notevoli poteri, impedire che in aula si leggano discorsi scritti concepiti apposta per “fare colpo”, imporre alle camere dall’esterno i propri regolamenti, attribuire al capo dello stato il potere di scioglimento della camera. Non serve invece una incompatibilità tra la carica di ministro e quella di deputato.

La figura garantista più rilevante è comunque quella del monarca irresponsabile, dipinto da Constant come un “potere neutro” e intermediario che non svolge funzioni dirette di governo e si concentra perciò in una essenziale funzione di coordinamento tra i diversi organi. Per svolgere una funzione neutra c’è bisogno di una figura eccezionale. L’ottica è quella di una monarchia costituzionale entro la quale si apprezza una limitazione dei poteri costituiti in ottemperanza al dettato costituzionale che conferisce legittimità a ogni ambito istituzionale. Quando la separazione dei poteri si tramuta in conflitto e “questi settori si incrociano disordinatamente, si scontrano e si ostacolano, occorre una forza che li rimetta al loro posto”. Alla corona spettano solo poteri simbolici, come la grazia, la nomina dei ministri, lo scioglimento della camera. Il potere attivo reale cade nelle mani del governo.

Le elezioni sono la fonte della fiducia di un esecutivo. L’opposizione deve poter agire in piena libertà.

Constant intende porre argini rispetto ad esercizi illegittimi del potere. Il puro stato di diritto basato sulla sovranità della legge non è in grado di sbarrare la strada a leggi inique.

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