Sono stati pubblicati i d. lgs 545 (dedicato all’ordinamento degli organi della giurisdizione tributaria) e 546 (dedicato al processo tributario) a seguito dell’art 30 legge delega 413/1991, con cui il Parlamento ha dettato principi e criteri direttivi per la revisione del contenzioso tributario. La riforma del 1992 ha sancito il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie, conferendo al sistema struttura più omogenea, migliorando il profilo dell’indipendenza dei giudici, in generale conferendo maggiore pariteticità tra le parti in lite tramite il più ampio rinvio alle forme ed agli schemi del processo civile.

Struttura (d.lgs. 545). Primi 2 gradi: Commissioni tributarie provinciali e regionali: hanno sede nei rispettivi capoluoghi. Ultimo grado: Cassazione.

Composizione. Ogni Commissione ha un Pres. ; è formata da una o più sezioni (ognuna ha 1 Presidente, un vicepresidente, almeno 4 giudici). All’interno di ogni sezione i collegi giudicanti, presieduti dal Presidente o vice Presidente di sezione, decidono con un numero invariabile di 3 votanti. I membri delle Commissioni sono individuati dal “Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria” (organo di “autogoverno” posto a garanzia dell’autonomia della stessa: ha funzioni di reclutamento, vigilanza, consultive, ispettive). La magistratura tributaria appare come una sorta di magistratura onoraria, in quanto i componenti non sono reclutati per concorso, bensì sulla base di criteri automatici quasi del tutto svincolati dall’effettivo riscontro del livello di preparazione (la legge in realtà pone dei requisiti per i giudici ex 3,4,5 d.lgs. 545, ma la legge delega chiedeva molto di più). I componenti delle Commissioni sono nominati con Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro Finanze, previa deliberazione del Consiglio di Presidenza. I magistrati giurano fedeltà alla Repubblica. Non sorge un rapporto di pubblico impiego. Il compenso è un emolumento (non ha i caratteri della retribuzione).

Incompatibilità (art 8 d.lgs. 545). Nei casi di incompatibilità, la cessazione dell’incarico viene disposta con Decreto del Ministero Finanze, con deliberazione del Consiglio di Presidenza.

Astensione. I casi di astensione ineriscono all’accertamento di situazioni soggettive anomale dell’organo giudicante, ma in relazione al singolo caso trattato. Infatti l’astensione opera come istituto preposto ad assicurare la terzietà del giudice, sorge quando per certe circostanze stabilite da legge, il giudice ha l’onere di non partecipare alla decisione; se ciò non avviene, la parte può proporre istanza di ricusazione.

Durata. La nomina a giudice della Commissione ha durata massima nella stessa sezione della stessa Commissione di 5 anni; cessa comunque al compimento dei 75 anni.

Uffici di segreteria delle Commissioni e del “Consiglio di Presidenza”. Svolgono attività ausiliaria. Il personale dipende dal Ministero delle Finanze. Svolgono funzioni amministrativo burocratiche, giurisdizionali, ausiliarie.

PROCESSO TRIBUTARIO. Con il d.lgs. 546, ai fini dell’individuazione dell’oggetto della cognizione del giudice, il termine “competenza” è stato sostituito da “giurisdizione”. La Commissione tributaria competente deve esser individuata in base alla sede dell’Ufficio, dell’ente locale, del concessionario per la riscossione nei cui confronti il ricorso è proposto. Alla “giurisdizione” si è invece attribuita la nozione del thema decidendum (ossia l’ambito oggettivo del potere giurisdizionale). Ora, la ricognizione dell’ambito della giurisdizione tributaria implica l’esame di 2 piani d’indagine:

1)quello delle norme che delimitano esternamente rispetto alle altre giurisdizioni ordinaria e amministrativa. Il d.lgs. 546 aveva ricompreso nella giurisdizione delle Commissioni tributarie le controversie concernenti “ogni altro tributo” loro attribuito dalla legge, così ampliando l’operatività. Successivamente la l.488/2001 ha esteso la sfera di cognizione delle Commissioni a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi d’ogni genere/specie, nonché le sovraimposte, le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate da uffici finanziari. Oltre ciò, anche le controversie concernenti alcune tipologie di prestazioni patrimoniali imposte, come le controversie con oggetto la debenza del canone per l’occupazione di aree/servizi pubblici, canone per scarico/depurazione acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani. La Corte Costituzionale ha rilevato in molte pronuncie che la giurisdizione dei giudici tributari “deve essere imprescindentemente legata alla natura tributaria del rapporto”: quindi è la “materia tributaria” ad esser di competenza del giudice tributario: il giudice ordinario avrà allora le sole controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria. Giudice amministrativo: quest’ultimo potrà giudicare sui singoli decreti ministeriali che: individuano gli indici rilevatori di capacità contributiva ai fini dell’accertamento sintetico dei redditi, determinano i coefficienti d’ammortamento dei cespiti strumentali, approvano gli studi di settore (compresi anche i regolamenti degli enti locali istitutivi di tributi o disciplinanti elementi secondari alla prestazione impositiva). Davanti al giudice amministrativo il contribuente potrà poi tutelare la lesione degli interessi legittimi che non si concretizzano in atti impugnabili innanzi a commissioni tributarie e che risultano frutto dell’esercizio di potere discrezionale della P.A. (sono interessi legittimi residuali: es provvedimenti in materia di domicilio fiscale). Fermo restando ciò, il giudice tributario ha cognizione sulle controversie relative all’impugnazione del provvedimento di rigetto (espresso o tacito) dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento di un atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria (ogni volta si discuta di uno specifico rapporto tributario): la valutazione rimane però circoscritta alla verifica della legittimità del comportamento tenuto dall’ente impositore in ordine all’istanza di autotutela.

2) quello delle disposizioni che, dall’interno, disciplinano le parti necessarie del processo e gli atti impugnabili. Il processo si instaura per iniziativa del contribuente che abbia interesse ad agire: quindi le sue controparti sono esclusivamente quelle disciplinate dal 10 d.lgs. 546, ossia Ufficio Ministero Finanze, l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione (che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto richiesto). Ex 19 d.lgs. 546 gli atti impugnabili sono (elencazione tassativa): l’avviso d’accertamento, l’avviso di liquidazione, il provvedimento irrogante sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l’avviso di mora, l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ex 77 DPR 602, atti relativi alle operazioni catastali, il rifiuto al rimborso (espresso o tacito), il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata, ogni altro atto per cui la legge prevede autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni. Ora tutti questi atti sono “autonomamente impugnabili”: quindi la “mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”: ossia gli atti della riscossione, se preceduti dalla notifica di atti di accertamento/liquidazione/irrogazione della sanzione non impugnati dal contribuente, possono esser contestati solo per vizi propri e non per vizi relativi a tali atti che ne rappresentano il presupposto (quindi si possono considerare prodromici).

Difetto di giurisdizione. Ex riforma 1992 è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato/grado del processo (col solo limite della formazione del giudicato sulla questione di giurisdizione); è ammesso il regolamento preventivo ex cpc. La giurisdizione è presupposto processuale: il giudice adito dovrà allora giudicare in via preliminare, affermandola (con decisione anche sul merito) ovvero negandola (dando allora spazio a successive impugnazioni) ovvero disponendo l’improponibilità assoluta della domanda di fronte a qualsiasi giudice.

Possono infine sorgere problemi anche nello stabilire a quale giudice spetti la cognizione effettiva della controversia: la premessa è la competenza è presupposto di validità del processo (non della domanda). Dato che non si possono applicare le disposizioni del processo civile che attengono ai regolamenti di competenza, può accadere che la Commissione provinciale/regionale si reputi implicitamente/esplicitamente competente quando giudica sul merito: in tal caso il vizio potrà esser sollevato in sede d’appello o ricorso per Cassazione . (nel qual caso il giudizio continuerà di fronte al giudice dichiarato competente). Se invecela Commissione dichiari la propria incompetenza e indichila Commissione competente, ci sarà la traslatio iudicii.

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