Il fulcro della tecnica scientifica di utilizzazione del precedente in un case law è individuabile in 2 momenti caratterizzanti l’opera logica dell’interprete chiamato a formulare la soluzione per un nuovo caso: l’astrazione con induzione della ratio decidendi delle precedenti decisioni su casi simili e la determinazione se il caso da decidere sia “analogo” a quelli già decisi ovvero se richieda una soluzione differente in quanto caratterizzato da diversi elementi di fatto (distinguishing). Entrambe le operazioni competono solo all’interprete che deve formulare la “nuova” decisione: la ratio decidendi è infatti il principio che l’interprete successivo ricava rapportando circostanze individuate come qualificanti alla decisione che ne discende logicamente.

La tecnica dell’astrazione che dalla soluzione di casi concreti particolari porta alla formulazione di “casi tipo” , consiste appunto nell’evidenziare le rationes decidendi nel rapporto elementi qualificanti/decisione, determinando analogie o differenze tra i casi risolti e da risolvere, per valutare l’applicabilità della ratio decidendi precedentemente individuata e “dedurne” la nuova soluzione.

Alcuni esempi (tutti dal Digesto):

1) (p.93,l.). Giavoleno, riferita la soluzione di Cassio (che escludeva la possibilità di usucapire le cose provenienti da naufragio, in quanto queste cose non potevano considerarsi derelitte)estende per analogia la soluzione alle cose gettate in mare per evitare il naufragio, in quanto trova applicazione la stessa ratio decidendi che limita l’acquisto per usucapione alle cose che possono esser considerate definitivamente perdute dal dominus. In questo senso sovviene la teoria di Vacca, secondo cui “l’interpretazione analogica” in un sistema giurisprudenziale rappresenta quasi una necessità , in quanto l’interprete deve “trovare” la soluzione e può far ciò solo con la “diagnosi” degli elementi qualificanti del caso stesso analogie o differenze, non solo rispetto alle fattispecie previste dalle norme ma anche e soprattutto rispetto ai casi già decisi nell’ambito della stessa interpretatio giurisprudenziale.

2) (p.94,l). In questo testo di Ulpiano il giurista deve risolvere il problema se chi porta via una cosa gettata dalla nave sia tenuto con l’actio furti: egli introduce la rilevanza di un’ulteriore circostanza ossia l’animus di chi getta la cosa dalla nave, quindi la cosa potrà considerarsi derelitta se questi pensa che la cosa andrà definitivamente perduta e quindi chi la trova può acquistarla. Qui la ratio decidendi non è diversa da quella delle soluzioni di Cassio e Giavoleno: il 3° può acquistare solo ciò che è “tipicamente” perduto definitivamente dal dominus (quindi non può esser una perdita solo temporanea). Ulpiano però introduce un distinguo, ossia mette l’accento sulla rilevanza del convincimento di chi getta la cosa (elemento non preso in considerazione nelle soluzioni precedenti)e quindi si restringe la portata della regola ai casi in cui effettivamente il dominus ritiene di poter recuperare la cosa. Da questa considerazione si deduce che il giurista deve si utilizzare le soluzioni precedenti individuando la loro ratio decidendi, tuttavia se un giurista individua un caso che presenta un diverso elemento di fatto che egli individua come ulteriormente qualificante, il giurista può adottare una soluzione diversa (usando la stessa ratio).

3)Giuliano e il suo discepolo Africano sono fra i giuristi nelle cui opere si presenta più accentuato il processo di astrazione e standardizzazione dei casi. C’è un testo di Africano, secondo Vacca utile come esempio della tecnica argomentativa casistica mediante ragionamento “case to case” (p.97,l, tradotto). Vengono nel testo presi in esame una serie di casi simili ma caratterizzati da diverse circostanze e in rapporto ad essi si pone la questione di distinguere fra i casi in cui l’azione deve essere esperita solo per la ripetizione del corrispettivo (secondo i criteri del bonum et aequum) ed i casi in cui il debitore sarà tenuto a risarcire il danno rispondendo per l’id quod plerumque accidit (in quanto la circostanza che ha determinato il mancato pagamento è riferibile al debitore). Africano riferisce che Giuliano affermava che nel caso il fondo locato fosse espropriato, il locatore era tenuto con l’azione contrattuale nonostante l’inadempimento non dipendesse da lui, analogamente al caso in cui, essendo stata data in appalto la costruzione d’un edificio su un certo suolo, il terreno fosse franato. Invero il punto problematico per Africano riguarda la determinazione della condemnatio: secondo Africano è vero che nel caso venga espropriato il fondo si conceda l’actio empti, ma è altresì vero che in questo caso l’azione è concessa per la restituzione del prezzo, non per il risarcimento del danno valutato in rapporto all’interesse del creditore ad ottenere l’habere licere. La stessa soluzione sarà adottata nel caso della locatio conductio: l’actio de conducto può esser esperita solo per la restituzione della mercede corrispettiva relativamente al periodo in cui non si è potuto goder del fondo e il locatore in questo caso non può esser tenuto a nulla di più. Se invece è per colpa del locatore che il colono non ha potuto goder del fondo, il locatore sarà tenuto ad una somma corrispondente all’interesse anche positivo al godimento, ma il locatore sarà tenuto solo alla remissione o restituzione del canone quando il godimento sia stato impedito da una persona cui il locatore non poteva opporsi o per forza maggiore o a causa della sua posizione sociale. Secondo Africano questa distinzione concorda col principio introdotto da Servio: in caso di demolizione da parte del locatore di un edificio per effettuare delle riparazioni, egli distingueva se la distruzione era resa o meno necessaria a causa della situazione di vetustità dell’edificio, ma non vi era differenza tra i 2 casi, perchè in ambo il debitore non poteva impedire l’evento determinante l’impossibilità della prestazione. Gli elementi comuni dei casi sono costituiti dall’impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni in un contratto a prestazioni corrispettive e dalla circostanza che tale impossibilità non è imputabile al debitore. Secondo Africano, l’applicazione della stessa ratio decidendi che giustifica la soluzione di Giuliano per la compravendita comporta, nel caso di locatio rei, una soluzione che prevede la sola restituzione della mercede per il periodo in cui non si è potuto godere del fondo. A questo punto Africano, individuata la ratio decidendi di una precedente soluzione nel principio che impone che, in caso l’impossibilità non sia imputabile, debba solo ripristinarsi l’equilibrio patrimoniale fra le prestazioni e non sia equo condannare al risarcimento del danno, utilizza la stessa ratio per un “caso simile” e da ciò verifica che la ratio decidendi individuata per casi precedentemente descritti non si applica ove sia dipeso dal locatore che al colono sia impedito di godere del fondo, ma trova applicazione in altri casi in cui il locatore non poteva impedire che si verificasse detto impedimento. I principi di Giuliano-Africano sono la base nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive tra la risoluzione per impossibilità sopravvenuta e risoluzione imputabile a fatto del debitore.

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