Il termine mores indica gli usi, i costumi, ed allude a quello che è l’elemento materiale della consuetudine come fonte del diritto. I mores danno quindi luogo ad un ordinamento giuridico consuetudinario non scritto della civitas, dalla fondazione alle 12 tavole. Due sono le tesi al riguardo:

    • da una parte si è sostenuto che i mores manifesterebbero un ordinamento della società civica e precivica, che corrispondeva alla natura dei rapporti interindividuali e sociali
  • dall’altra i mores rappresenterebbero il fondamento teocratico della validità dell’ordinamento

Il problema del rapporto fra religione e diritto è di estrema rilevanza nella Roma delle origini e può riguardare la religione sotto due diversi aspetti:

  1. il primo riguarda il sistema di valutazioni etiche o morali tipico di ogni religione

Le norme morali sono comportamenti umani, ed in questo aspetto possono coincidere con le norme giuridiche, che impongono doveri di comportamento; però, sotto il profilo concettuale, non vi è possibilità di confusione fra i due tipi di norme. Le norme morali adempiono infatti alla loro funzione nella valutazione etica del comportamento umano e non prevedono ulteriori conseguenze in seguito alla violazione dei precetti in esse contenute, a differenza delle norme giuridiche, che invece sono essenzialmente rivolte a regolare il comportamento dell’individuo nei confronti degli altri consociati e la cui trasgressione comporta una sanzione.

Una religione che non si esaurisce nella sfera di coscienza del singolo rappresenta un fenomeno sociale, il quale si manifesta nell’esistenza della comunità di fedeli che si identificano con quella religione. Nell’ordinamento interno di una comunità religiosa trovano particolare rilevanza, sul piano giuridico, le valutazioni etiche corrispondenti alla morale positiva di quella religione. La violazione dei doveri relativi a queste valutazioni etiche viene così considerata come un illecito sul piano dell’ordinamento proprio della comunità religiosa.

2. il secondo riguarda il rapporto fra lo Stato e religione, che assume una particolare configurazione nel mondo antico

La religione è un momento di aggregazione essenziale nella comunità. Essa nella polis rappresenta una religione di Stato; pertanto l’appartenenza alla città-stato comporta necessariamente l’appartenenza alla religione dello Stato. Ciò presuppone e non si possa identificare una diversità fra la comunità di fedeli e quella dei cives. In questo quadro non può accettarsi quindi una visione che tenda ad una separazione del fenomeno religioso da quello dell’organizzazione dello Stato e del diritto. Pertanto le valutazioni di ordine religioso risultano determinanti ai fini della regolamentazione di diversi settori della vita della comunità cittadina.

Ciononostante, nella tradizione romana mancano le tracce della posizione di norme direttamente da parte della divinità, con la mediazione materiale articolata dai reggitori supremi della comunità.

L’altra concezione, precedentemente accennata, identifica i mores in un ordinamento insito nella struttura dei rapporti umani e divini ovvero nella natura delle cose. Quest’ordinamento vincolava, insieme, gli uomini e gli dei, come risulta dalla rilevanza del rito compiuto dagli uomini che vincolva l’agire anche degli dei. E’ quindi evidente l’importanza che nella vita della comunità aveva la mediazione degli esperti del diritto, cioè i pontifices, in un rapporto col rex, capo supremo della comunità anche dal punto di vista sacrale.

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