Dopo l’età di Silla furono emanate numerose altre leggi dirette a modificare o a riorganizzare le quaestiones già esistenti. Particolarmente abbondante è la legislazione in materia di ambitus, che ci offre un’impressionante testimonianza delle proporzioni assunte dal fenomeno della corruzione elettorale nell’ultimo secolo della Repubblica.

Fra le poche leggi istitutive di nuove quaestiones va ricordata la lex Plautia de vi che introdusse una quaestio per la repressione di varie ipotesi di violenza aventi rilevanza pubblica, e forse anche di taluni atti di violenza privata suscettibili di porre in pericolo la pace sociale. La corte non aveva carattere permanente, ma era costituita di volta in volta per opera del pretore urbano, presso il quale si doveva muovere l’accusa e a cui era demandato il compito di provvedere, per estrazione a sorte, alla nomina del presidente della giuria.

Un notevole inasprimento subì la disciplina del crimen repetundarum ad opera di una lex di Iulia di Cesare datata 59 a.C., la quale riordinò tutta la materia, ampliando sensibilmente la cerchia delle persone punibili e il numero delle fattispecie criminose rientranti nel concetto di repetundae, pur mantenendo la pena del simplum sancita dalla legge silliana (condanna all’equivalente del maltolto).

La legge rimase il testo fondamentale delle repetundae per tutta l’età imperiale. Essa continuò ad identificare negli appartenenti all’ordine senatorio i possibili soggetti attivi del reato, benché non si possa escludere che alcune norme fossero applicabili anche ai cavalieri.

La legge conteneva una dettagliata elencazione dei comportamenti ritenuti criminosi, tra i quali configuravano casi di arricchimento conseguito senza costrizione dell’altrui volontà.

In materia di delitti comuni va ricordata la lex Pompeia de parricidiis, del 55 o 52 a.C., che dettò nuove norme in materia di parricidio, estendendo la portata del crimine all’uccisione di prossimi congiunti e dei patroni, rendendo applicabile allo stesso la pena prevista per l’omicidio semplice. Solo se il reo veniva colto sul fatto o confessava il suo delitto veniva assoggettato alla poena cullei.

A differenza di quanto solitamente si ritiene, è dubbio che la legge abbia istituito un’apposita quaestio: il parricidio non era un reato così frequente da richiedere la creazione di una corte ad hoc, stabilmente presieduta da un pretore. Probabilmente rimase competente in materia la quaestio de sicariis.

Quanto alla composizione delle giurie,1 soluzione di compromesso fu raggiunta nel 70 a.C., grazie a una lex iudiciaria proposta dal pretore Aurelio Cotta, con la quale fu stabilito che l’album iudicum fosse composto per 1/3 dai senatori, per 1/3 dai cavalieri e per 1/3 dai tribuni aerarii, e che i collegi fossero formati di un egual numero di persone appartenenti alle tre categorie.

Questo regime fu più tardi modificato da una lex Iulia la quale estromise dall’album i tribuni aerarii e riconobbe il diritto di sedere nelle giurie ai soli senatori e cavalieri.

Nel 44 a.C. una legge proposta da Marco Antonio inserì nella lista dei giudici gli ex centurioni e i soldati della legione V Alauda, ma l’innovazione ebbe breve durata poiché la legge fu abrogata l’anno successivo con gli altri provvedimenti di Antonio.

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