In questo testo Cicero ci presenta una partitio dello ius civile in cui leges, senatus consulta, edicta magistratuum stanno sullo stesso piano (come parte dello ius civile) della auctoritas prudentium, del mos, dell’aequitas, delle res iudicatae. Ora dal discorso di Cicero emerge per Vacca chiaramente che le singole partes del diritto civile, pur potendo esser descritte separatamente, si pongono in reciproco rapporto di necessaria interdipendenza e solo il loro insieme composto nel tutto rappresenta l’entità da definire. Quindi l’aequitas (come ogni altro elemento della partitio) costituisce un elemento che interagisce con gli altri in cui lo ius civile, costituendo un particolare aspetto del tutto, collegabile agli altri (quindi il ius della civitas non sarebbe ciò che è nel suo complesso se tra le sue componenti non vi fosse l’aequitas).

In questo contesto assume rilevanza la specifica connessione tra aequitas e auctoritas prudentium: Cicero parla proprio di “auctoritas prudentium” (e non di “responsa prudentium”): l’attività dei giuristi è allora considerata componente del ius civile nell’aspetto complessivo della “autorevolezza scientifica” dei giuristi (che permette loro di comporre lo stesso ius civile in quadro coerente, contando ogni altro elemento che vi concorre).

Considerazioni. Il potere di dare effettività all’aequitas è attribuito al magistrato giusdicente (in quanto questi può introdurre strumenti istituzionalmente idonei a correggere il ius civile). Ora, come è noto, dopo l’introduzione del “processo formulare”, il potere giurisdizionale dei magistrati (fondato sull’imperium) si pone sul piano del potere pubblico come “idoneo a creare diritto”, per cui il magistrato può anche esser considerato “viva vox iuris civilis” e il risultato dei suoi interventi si aggiunge gradualmente al ius civile consolidato nella tradizione giuridica della civitas. La ratio dei rimedi pretori che integrano/correggono il ius civile sarà costantemente ricondotta all’aequitas anche dai successivi giuristi classici, che commentano le clausole edittali.

Da ciò si deduce che l’aequitas già in questo tempo è una sorta di “clausola generale” dell’ordinamento (il cui contenuto concreto è volta per volta individuato dagli iuris periti ed è reso operativo dalla tutela processuale del magistrato). In questo quadro, l’aequitas che giustifica le innovazioni è formalmente riconducibile al pretore (ma la determinazione del suo contenuto è il prodotto dell’ars del giurista, che indica le soluzioni “esplicitando” l’aequitas, che permea di sé il diritto della civitas).

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