La procedura delle quaestiones era stata codificata da Augusto nella lex Iulia iudiciorum publicorum ed aveva preciso carattere accusatorio.

Il processo era introdotto su iniziativa di un privato cittadino, che si faceva esponente dell’interesse della collettività. Spettava a lui svolgere le indagini sul crimine, fornirne le prove, addurre gli argomenti a sostegno dell’accusa.

Il magistrato non poteva promuovere d’ufficio il giudizio nel porre taluno nella condizione di reus senza la preventiva nominis delatio, attuata mediante la presentazione del libellus inscriptionis.

In contrapposizione alle quaestiones, le cognitiones dei funzionari imperiali erano informate al principio inquisitorio. I delegati del principe assumevano l’iniziativa della persecuzione, solitamente in seguito a una propria indagine o su rapporto degli organi di polizia di cui disponevano, raccoglievano le prove ed emanavano la sentenza.

Potevano avvalersi anche dei delatores, ma questi erano semplici informatori, soggetti alle responsabilità conseguente all’esperimento di una accusa temeraria o infondata. La loro denuncia aveva natura di segnalazione di reato, e non esigeva speciali requisiti di forma.

Solo per gli antichi crimini contemplati dalle leggi istitutive delle quaestiones era ancora richiesta l’accusatio formale, per mezzo del libellus inscriptionis. Ma anche in questi casi il sistema accusatorio era stato soggetto a una progressiva involuzione:

→ vennero posti dei limiti alla facoltà di accusare, ristretta solo all’offeso e ai suoi stretti congiunti

→ la proposizione dell’accusa venne resa più difficile e rischiosa

→ viene precluso l’esercizio dell’accusa a determinate persone

Verso gli inizi del III secolo, le modalità di presentazione della denuncia al funzionario imperiale furono modificate. L’esigenza di proteggere i denunciati dal pericolo di delazioni temerarie o a scopo di ricatto indusse gli imperatori ad abbandonare il sistema seguito nei primi tempi dal principato e a prescrivere l’osservanza di precise formalità.

Fu stabilito che il cittadino che intendeva proporre una delatio dovesse sottoscrivere la sua accusa sul registro del tribunale adito, e promettere con una cauzione garantita da fideiussori di condurre il processo fino alla sentenza.

I delatores furono assimilati agli accusatori dei giudizi pubblici e le prescrizioni in materia di calunnia e prevaricazione furono estese anche ad essi, sebbene la loro denuncia avesse solo valore di semplice informazione.

La subscriptio in crimen divenne il modo regolare di introduzione dell’accusa per tutti i processi, anche per quelli relativi ai delitti già oggetto di giudizio pubblico, e l’accusatore doveva necessariamente apporre sottoscrizione sul registro del tribunale.

Il processo era imperniato sulla libera inquisitio del funzionario. A lui spettava:

→ decidere l’instaurazione del giudizio → regolarne lo svolgimento → emettere la sentenza

Una volta acquisita la notizia del reato, egli compiva le opportune verifiche a mezzo dei suoi ufficiali e decideva in piena libertà se dare o no inizio alla persecuzione.

Per evitare che un procedimento potesse essere avviato ad insaputa del perseguito, furono vietati processi contro i assenti. L’assente veniva annotato sul protocollo del tribunale e intimato a comparire entro un certo termine: se non ottemperava era considerato contumace e solo allora poteva essere processato e condannato.

Il funzionario non era costretto ad attenersi alle sole prove fornite dall’accusatore e dall’accusato, ma poteva anche ricorrere ad altri mezzi idonei a metterlo in grado di pronunciare una sentenza fondata. Egli aveva facoltà di citare tutti i testi che riteneva necessari, a prescindere dalla richiesta delle parti, e poteva disporre l’interrogatorio con tortura sia nei confronti degli schiavi delle persone libere di bassa origine.

Un’ampia discrezionalità gli era riconosciuta nella determinazione della pena. Egli non era vincolato a una pena preventivamente fissata per legge, come invece accadeva nelle quaestiones (ove la pena era fissata dalla legge istitutiva di ogni singola corte). Egli era libero di commisurare la sanzione alla gravità del reato e al grado di colpevolezza del reo. Anche se l’imputato era chiamato a rispondere di un diritto previsto da una delle leggi istitutive di quaestiones aveva la facoltà di infliggergli una pena più grave o più lieve, o anche di diversa natura, di quella stabilita.

Ad eccezione della grazia, quale prerogativa del principe e del senato, il funzionario godeva della massima libertà nella determinazione della specie e della misura della pena.

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