In un primo momento si conosceva solo la potestà primaria, qualificata così perché si faceva riferimento a quelle materie assoggettate per intero alla disciplina regionale dagli statuti speciali. In realtà se si pensa che anche tali materie sono soggette a limiti posti a garanzia dell’unità-indivisibilità della Repubblica, in realtà tale potestà primaria non esiste.

Con la riforma si è poi riconosciuta una potestà di tipo residuale alle Regioni di diritto comune, così detta perché si affidavano alla potestà regionale tutte le materie che non rientravano nell’elenco di quelle affidate allo Stato o a Stato e Regione assieme.

Seguendo la clausola di maggior favore la potestà suddetta si estende anche alle Regioni a regime differenziato. Ma in che rapporto si colloca con la potestà primaria?

La Corte costituzionale intervenendo sul punto ha chiarito che le due potestà rimangono in via di principio distinte e che la vecchia potestà primaria resiste al mutamento costituzionale, per il caso che, rivista alla luce della clausola più favorevole, risulti più vantaggiosa per l’autonomia.

Vanno però fatte delle considerazioni. Il raffronto tra le due potestà è stato effettuato su un piano prettamente “orizzontale” e non “verticale”, considerando la “profondità di scavo” riconosciuta. Se così fosse stato probabilmente la Corte si sarebbe orientata nel verso opposto.

In realtà però i due modelli finiscono per coincidere, considerato che in realtà come già enunciato una vera potestà piena non esiste.

Oramai però si assiste ad un progressivo passaggio da un sistema di separazione ad uno di integrazione. Infatti si riteneva possibile che le leggi statali potessero immettersi negli ambiti rimessi alla regolazione regionale, per dare alla Regioni la possibilità di sostituire la proprie leggi a quelle dello Stato gradualmente, in modo tale da evitare pericolosi vuoti normativi.

Si è inoltre ritenuto, sulla base della giurisprudenza costituzionale che le leggi statali potessero abrogare le leggi regionali sopravvenienti nel caso in cui queste ultime fossero incompatibili con le prime. Questo dimostra ancor di più come tra i due regimi non ci sia separazione ma si integrino.

Tutto ciò non avviene né in Trentino Alto Adige, né in Sicilia, dove la separazione tra i due regimi è ben netta.

Addirittura in Sicilia non è possibile l’applicazione delle leggi statali senza la ricezione delle stesse da parte delle leggi regionali, cosa che ha procurato ingenti ritardi nell’applicazione di importanti leggi di riforma. Oltretutto le leggi regionali di ricezione delle statali, non facevano altro che riprodurre sostanzialmente il testo della legge statale, elemento che rende ancor più inutile questo stato di cose.

Si passa dunque da un eccesso all’altro, quando la soluzione mediana sarebbe stato l’ideale.

Ad ogni modo si ritiene che le norma di dettaglio contenute nelle leggi statali siano caratterizzate da cedevolezza, potendo essere rimpiazzate da norme regionali conformi ai principi.

 

I limiti della potestà piena (in specie i “principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato)

Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno tentato di portare all’unità i limiti posti alla potestà primaria come a quella residuale, contemperandoli poi con quelli posti al particolare statuto siciliano che è addirittura precedente alla Costituzione.

In generale il limite cui sono sottoposte le leggi regionali è dato dai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.

Le leggi statutarie invece sono chiamate all’osservanza di principi non espressamente qualificati come generali (anche se i principi sono sempre generali) ed inoltre non si fa riferimento allo Stato, ma alla Repubblica.

In questo modo si fa riferimento ad un macrosistema che ricomprende si le leggi statali, ma nondimeno quelle regionali. Dunque alla formazione dei principi suddetti concorrono le stesse leggi che vi sono assoggettate.

Infine, per quanto tali principi attengano all’intero ordinamento, si è pensato che sia da escludere, in nome del principio della gerarchia delle fonti, che le leggi regionali siano tenute a conformarsi a principi desumibili da fonti di secondo grado.

È poi da tener presente che, in molti casi, i principi dell’ordinamento si sono costituzionalizzati, sicché il limite suddetto finisce per coincidere con quello costituzionale.

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