Il codice penale non accoglie una concezione meramente agonistica del procedimento penale. Al contrario, lo scopo del procedimento è quello di accertare i fatti di reato e le relative responsabilità in base alle prove. Dal momento che le parti in conflitto possono non essere eguali in capacità ed in mezzi, quindi, il legislatore attribuisce al giudice un potere di supplenza che incide sull’iniziativa probatoria (eccezione rispetto all’art. 190 co. 1). Tale potere di iniziativa, comunque, si esercita con modalità e con limiti tali da non intralciare l’iniziativa delle parti:

  • il presidente del collegio giudicante può rivolgere domande al testimone soltanto al termine dell’esame incrociato (art. 506 co. 2);
  • il collegio giudicante può disporre l’assunzione di mezzi di prova se risulta assolutamente necessario solo una volta terminata l’acquisizione delle prove, ossia dopo che si sono svolti interamente il caso per l’accusa e quello per la difesa (art. 507).

Le norme appena esposte dimostrano che il legislatore non ha voluto un sistema accusatorio puro, che attribuisca l’iniziativa probatoria unicamente alle parti. Al contrario, si sono voluti porre, come correttivo all’iniziativa delle parti, poteri esercitabili di ufficio dal giudice (principio dispositivo attenuato). Tale scelta trova il suo fondamento nell’oggetto del procedimento, rappresentato dalla responsabilità personale di una persona, concettualmente legata al diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.). L’accertamento dei fatti non può essere lasciato nella piena disponibilità di parte, perché altrimenti anche il diritto di libertà diverrebbe completamente disponibile.

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