In virtù del principio di contestazione, l’ imputato deve essere informato del fatto del quale sia stato accusato dal pubblico ministero mediante l’ esercizio dell’ azione penale e ha il diritto di essere giudicato soltanto per quel fatto. La contestazione deve essere individuata e descritta dal pubblico ministero, all’ atto dell’ esercizio dell’ azione penale (mediante la formulazione del capo di imputazione) ovvero successivamente nel corso dell’ udienza preliminare o nel dibattimento (ove ricorrano le condizioni per la modifica o l’ integrazione dell’ imputazione).

Essa deve contenere una descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto storico di cui l’ imputato viene chiamato a rispondere (con l’ indicazione di tutti gli elementi della fattispecie astratta), nonché della sua definizione giuridica (individuata mediante l’ indicazione delle norme di diritto sostanziale che si assumono violate). È bene precisare, però, che la definizione giuridica del fatto non è vincolante, in quanto essa è di esclusiva pertinenza del giudice (in virtù dell’ antica massima iura novit curia): il giudice, ad es., può qualificare l’ associazione come semplice anziché di stampo mafioso.

Una particolare forma di contestazione vige anche nel corso della fase procedimentale, quale strumento atto a garantire l’ attivazione dei poteri di difesa della persona sottoposta ad indagini: si pensi, ad es., all’ avviso di conclusione delle indagini, notificato (ex art. 415 bis c.p.p.) dal pubblico ministero all’ indagato e al suo difensore; tale avviso deve contenere la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto; si pensi, ancora, all’ art. 65 c.p.p., il quale stabilisce che, prima che l’ interrogatorio dell’ indagato abbia inizio, l’ autorità giudiziaria deve contestargli, in forma chiara e precisa, il fatto che gli è attribuito.

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