Il problema della capacità processuale nasce perché non ogni soggetto che è capace di essere parte e anche capace di stare in giudizio. Anche questa situazione trova esatto riscontro nel campo del diritto sostanziale dove si distingue la capacità giuridica dalla capacità di agire che è appunto la capacità del soggetto di compiere atti giuridicamente rilevanti e che di solito si acquista con il compimento del 18° anno di età. In sostanza si può dire che la capacità giuridica sta alla capacità di essere parte così come la capacità di agire sta alla capacità processuale. Al riguardo va però precisato che mentre il primo rapporto è quasi sempre coincidente nel secondo tale coincidenza viene meno spesso.

L’art 374 c.c. richiede che il tutore si munisca dell’autorizzazione del giudice tutelare per promuovere i giudizi nell’interesse del minore, l’art 394 c.c. prevede che il minore emancipato può stare in giudizio con l’assistenza del curatore occorrendo l’autorizzazione del giudice tutelare solo quando si tratti di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Queste disposizioni si applicano anche agli interdetti, inabilitati, interdicendi o inabilitandi.

Di conseguenza posto che non hanno assolutamente capacità di agire i minori e gli interdetti i quali sono altresì processualmente incapaci va detto che stanno in giudizio in nome e per conto loro le persone che hanno la rappresentanza legale e cioè i genitori e i tutori. Hanno invece una limitata capacità di agire gli emancipati e gli inabilitati i quali possono stare in giudizio con l’assistenza del curatore. Nel corso del giudizio di interdizione e d’inabilitazione il giudice può provvedere alla cura degli interessi degli interdicendi o inabilitandi nominando loro un tutore o curatore provvisorio i cui poteri sono ritagliati su quelli del tutore o curatore definitivo.

Accanto a queste ipotesi ve ne sono delle altre che si riconnettono a svariate situazioni ad es. il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei beni che passano al curatore, allo scomparso viene nominato un curatore, nel caso di assenza le persone che ottengono l’immissione nel possesso temporaneo dei beni diventano anche rappresentanti in giudizio dell’assente etc. etc.

Non va poi dimenticato che le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto, che le persone giuridiche pubbliche hanno di solito bisogno dell’autorizzazione degli organi deliberanti e che le amministrazioni dello stato stanno in giudizio nella persona del ministro competente. Per evitare che il processo sia iniziato o proseguito da soggetti che non siano processualmente capaci o da soggetti che non abbiano la rappresentanza, l’assistenza o l’autorizzazione il legislatore ha fatto obbligo al giudice di esaminare i problemi inerenti alla capacità processuale delle parti sin dalla prima udienza di comparizione ex art 180 c.p.c. prevedendo che quando questi rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare alle parti un termine per la costituzione della persona a cui spetti la rappresentanza o l’assistenza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni tranne il caso in cui di sia verificata una decadenza (art 182 c.p.c.).

Occorre rilevare che la formulazione della disposizione non è delle più felici perché essendo la ratio di essa quella di evitare un vizio che potrebbe condurre ad una sentenza meramente processuale il giudice così come è obbligato ad eseguire il controllo allo stesso modo è obbligato a concedere un termine salvo il caso in cui particolari circostanze ostative rendano ciò impossibile. Quanto detto trova conferma nell’art 164 c.p.c. il quale evidenzia che le nullità dell’atto di citazione sono sempre sanabili e che esiste un potere-dovere del giudice di disporre la sanatoria con efficacia retroattiva ove il vizio riguardi la vocatio in ius o con efficacia irretroattiva ove il vizio riguardi l’editio actionis.

Per quanto riguarda l’inciso salvo che si sia verificata una decadenza va detto che esso deve essere inteso alla stregua di quanto disposto dal 5° comma dello stesso art 164 c.p.c. cioè salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione dato che se si ritenesse che l’autorizzazione possa essere esclusa da una decadenza di carattere processuale non avrebbe senso chiedere ed ottenere l’autorizzazione. In altri termini il giudice nell’autorizzare la sanatoria dovrà fare salvi i diritti quesiti dall’altra parte e non dovrà tener conto delle preclusioni processuali che si siano eventualmente verificate. In definitiva si può dire che:

1) il giudice ha il potere-dovere di concedere un termine per sanare un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione

2) la relativa ordinanza deve fare salvi i diritti quesiti dall’altra parte tra i quali però non vanno compresi le situazioni di vantaggio derivanti da sopravvenute prescrizioni

3) il termine concesso non è perentorio salvo che ciò non sia espressamente disposto

4) se il difetto non viene ravvisato dal primo giudice si ha un vizio della sentenza suscettibile di essere fatto valere con l’appello

5) la norma si applica anche al giudizio di impugnazione ma solo per i vizi di rappresentanza, assistenza o autorizzazione che si siano verificati in quel grado

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