Nel nostro ordinamento, il principio della discrezionalità trova il proprio fondamento negli artt. 3 e 27 Cost. e nell’art. 132, il quale dispone che nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente , dovendo comunque indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale.

Nell’esercizio del potere discrezionale, il giudice deve tener conto dei dati fattuali della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo (art. 133), disposizione questa che si ritiene valida non solo per le ipotesi in cui la legge richiama espressamente l’art. 133, ma anche per quelle in cui la legge tace e non richiama elementi diversi. Il giudice, quindi, risulta essere vincolato alla duplice valutazione del fatto e della personalità. Abbiamo già esaminato gli elementi da cui si desume la capacità a delinquere (pag. 37). La gravità del reato, invece, va desunta:

  • dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione.
  • dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato.
  • dall’intensità del dolo o dal grado della colpa.

L’art. 133, tuttavia, non basta a garantire una discrezionalità vincolata: gli elementi previsti dall’articolo, infatti, non sono idonei a guidare il giudice nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, e questo perché il loro significato può variare a seconda che siano considerati in prospettiva di retribuzione, di prevenzione generale o di prevenzione speciale.

Tale situazione ha quindi riportato al centro del dibattito penalistico il problema della discrezionalità, al fine di riconvertire l’attuale discrezionalità libera in una discrezionalità vincolata.

È ormai acquisito che, prima di scendere a valutare gli elementi dell’art. 133, occorre individuare:

  • la ratiodelle singole ipotesi di discrezionalità e, quindi, i criteri valutativi alla cui stregua vanno interpretati gli elementi polivalenti ivi elencati, ossia:
    • del criterio della retribuzione (proporzione), alla luce del quale debbono essere determinati sia la gravità complessiva del reato sia la capacità a delinquere intesa nel suo primario significato di attitudine al reato commesso.
    • del criterio complementare della prevenzione speciale, in base al quale va determinato il grado della capacità a delinquere intesa nel suo ulteriore significato di attitudine a commettere nuovi reati.
  • i rapporti gerarchici che intercorrono tra tali criteri-guida:
    • in via primaria deve essere valutata la gravità del reato, in rapporto alla quale va determinata la misura-base della pena. Nell’ambito della gravità del reato, in particolare, occorre partire dalla gravità oggettiva, in rapporto alla quale va fissata la prima misura della pena che potrà essere poi aumentata o diminuita in ragione del grado della gravità soggettiva (dolo o colpa).
    • in via complementare deve essere valutata la capacità a delinquere, nel senso che la misura-base della pena, determinata in ragione della gravità del reato, può essere diminuita o aumentata in rapporto alla capacità criminale del reo.

Risulta quindi chiaro che la commisurazione è la sintesi di un sistema pluridimensionale di valutazioni, tutte necessarie per una più completa individualizzazione della pena.

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