Il principio di offensività è vulnerato sia dai reati senza bene giuridico sia dai reati senza offesa.

Circa i reati senza bene giuridico, avendo precedentemente detto dei reati con beni giuridici vaghi e dei reati funzionali, occorre nominare i c.d. delitti senza vittime, così chiamati perché, essendo essi a sfondo esclusivamente etico, non offenderebbero alcun bene (es. omosessualità, aborto, uso di stupefacenti, bestemmia).

È indubbio che uno Stato pluralistico non può imporre morali di parte e confondere il reato con il peccato, tuttavia, è pur vero che i suddetti fatti non sono tutti senza vittime. Alcuni di essi, infatti, non esauriscono i propri effetti alla sola sfera soggettiva dell’agente, ma invadono anche la sfera soggettiva altrui, costituendo così un problema non solo morale, ma anche giuridico, da risolvere in base al bilanciamento degli interessi collidenti e alla prevalenza dell’uno o dell’altro. Per non piegare la teoria del bene giuridico al fine di trasformare in un’assenza di oggettività giuridica il desiderio di non punibilità di certi fatti, occorre quindi distinguere tra:

  • i fatti attinenti alla sola sfera morale (es. omosessualità), come tali non criminalizzabili né negli autori né nei concorrenti (es. istigatori).
  • i fatti attinenti alla sfera del giuridicamente tollerato, che, essendo considerati un disvalore giuridico, sono criminalizzati non negli autori ma solo nei concorrenti (es. suicidio).
  • i fatti collidenti con altrui beni giuridici, la cui criminalizzazione o meno dipende dalla prevalenza dell’uno o dell’altro bene in conflitto (es. aborto).

Circa i reati senza offesa, essi pongono il problema del grado legittimo di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale. Su di essi, tuttavia, il principio di offensività getta un’ombra non solo di impopolarità ma anche di incostituzionalità.

Avendo precedentemente parlato dei reati di pericolo astratto e di pericolo presunto, occorre adesso prendere in considerazione tutta una serie di reati a tutela anticipata o fondati sul sospetto di reato o su mere intenzioni offensive, i quali, non essendo reinterpretabili in chiave di offesa, ne restano irrimediabilmente privi:

  • i reati a dolo specifico (offesa nello scopo), i quali possono costituire la tecnica più semplice di inquadramento del principio di offensività e di costruzione di un diritto penale soggettivistico. Essi, a loro volta, devono essere distinti in:
    • reati a dolo specifico di offesa, con funzione di tutela anticipata e, quindi, estensiva della punibilità, perché l’offesa, essendo prevista come risultato non oggettivo, ma meramente intenzionale, rende punibile una condotta di per sé inoffensiva.
    • reati a dolo specifico di ulteriore offesa, con funzione limitativa della punibilità, perché accanto all’offesa oggettiva è richiesta un’ulteriore offesa meramente intenzionale, che pertanto ha una funzione restrittiva dell’illiceità penale di un fatto già di per sé offensivo e quindi meritevole di pena.
    • reati a dolo specifico differenziale, con funzione cioè differenziatrice della punibilità rispetto a fatti di pari offensività oggettiva.

Nell’intento di recuperare i reati a dolo specifico al diritto penale dell’offesa, alla concezione soggettivistica del dolo specifico come mera intenzione di offendere si è contrapposta la dominante concezione oggettivistica del stesso non come mera intenzione di offendere, ma anche come obiettiva idoneità della condotta a realizzare tale intenzione.

  • i delitti di attentato, i quali, descritti dalla legge con la formula chiunque attenta/ commette un fatto diretto a, sono elevati dalla stessa a delitti perfetti.

Per il timore di pericolose strumentalizzazioni politiche di tali fattispecie, la dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno abbandonato le interpretazione soggettivistiche, con le quali il delitto di attentato rischiava di diventare un reato di mera disubbidienza, adottando un’interpretazione oggettivistica, che riconduce il reato di attentato alla struttura del tentativo, richiedendo così l’idoneità degli atti a conseguire il risultato lesivo o, comunque, la messa in pericolo del bene protetto.

  • i reati di sospetto, costituiti da quei reati attinenti a comportamenti che, pur non essendo in quanto tali né lesivi né pericolosi, lasciano presumere l’avvenuta commissione non accertata o la futura commissione di reati. Tali reati, puniti come indizianti, rappresentano una plurianomalia, in quanto prevedono che non sia il giudice a provare l’illiceità del fatto, ma che sia il sospettato a dimostrarne la liceità. In mancanza di una probatio liberatoria plena, per ragioni anche da lui non dipendenti, il sospettato viene punito per un supposto più grave reato, anche se non l’ha commesso o non ha intenzione di commetterlo.
  • i reati ostativi, costituiti da quelle incriminazione che non colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma che tendono a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea per la commissione di altri reati. Essi, tuttavia, a differenza dei reati di sospetto, sono puniti di per se stessi e non come supposte intenzioni di commettere reati.

Circa i reati omissivi, il loro recupero al principio di offensività va operato in termini non naturalistici, perché improponibile, ma normativi e nei limiti in cui essi non violino la ratio garantista dello stesso:

  • quanto ai reati omissivi propri, la loro asserita incompatibilità col principio di offensività si fonda sul fatto che essi sono spesso costruiti legislativamente e interpretati nella prassi in termini di mera inosservanza dell’obbligo di attivarsi. Il suddetto recupero, quindi, è operabile attraverso:
    • la costruzione di tali reati in termini di offesa.
    • la loro interpretazione in termini di offesa, con la conseguente esclusione del reato, allorché il bene non è pregiudicato dall’omissione.
    • quanto ai reati omissivi impropri, il loro recupero al principio di offensività è operabile attraverso la loro ricostruzione in termini di equiparazione dell’offesa non impedita all’offesa cagionata, e ciò sulla base di tre requisiti:
      • la previa formulazione dei reati commissivi, convertibili, ex art. 40 co. 2, come reati di offesa.
      • la delimitazione dell’obbligo di garanzia in termini solidaristici.
      • l’assicurazione che la condotta doverosa sia quella idonea ad impedire l’evento, essendo la condotta doverosa impeditiva che tipizza il reato omissivo improprio.
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