Il 54 dice che: “nn è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo. (1 C.P.V.):Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo art si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia ma in questo caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.

Stato di necessità e legittima difesa. Nelle sue linee fond l’esimente è delineata dal 1°. Saltano agli occhi le affinità con la legittima difesa (in quanto le 2 scriminanti si collocano nel segno di una ratio che si compendia nella regola per cui la necessità non conosce legge ed è una regola che sintetizza solo approssimatamente la ragione d’essere di queste cause di giustificazione, ma mete in evidenza come ambo muovono da una situazione di pericolo attuale dove agisce la legittima difesa ma anche si agisce per scongiurare il pericolo nel caso dello stato di necessità. Entrambe le esimenti sono autotutela.) e con esse le differenze (in quanto l’autotutela in stato di legittima difesa è diretta verso un aggressore, in stato di necessità il comportamento che costituirebbe reato se non giustificato ha per soggetto passivo un 3° innocente in quanto non ha dato origine al pericolo incombente. Per questo motivo l’ambito entro cui si può svolgere la tutela in stato di necessità è molto più limitato di quello di legittima difesa, perchè in quest’ultimo si può agire a tutela di qualsiasi dir/interesse protetto. L’autotutela qui sarà ammessa unicamente cn riguardo alla persona propria o altrui) che la contrappongono alla causa di giustificazione del 52. Anche nel C.C.: l’esimente del 2044 (legittima difesa) è costituita dalla difesa di sé o di altri, mentre quella del 2045 (stato di necessità) dal salvataggio di se o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona…

Pericolo non volontariamente cagionato né altrimenti evitabile. Quindi il pericolo ha queste 2 clausole negative importanti, che discendono dalla funzione che l’autotutela qui riveste: ossia quella di garanzia di beni fondamentali della persona umana, a scapito del 3° innocente. Da questa clausola si è aperto un problema dibattuto in tema di legittima difesa: il punto dibattuto è se possa invocare quest’ultima scriminante chi abbia provocato l’aggressione ovvero chi avrebbe modo di salvarsi dandosi alla fuga. Ora l’assenza nel disposto del 52 di condizioni come quelle figuranti nello stato di necessità (“pericolo non volontariamente cagionato né altrimenti evitabile”), per Gallo porta a una risposta affermativa ad ambo gli interrogativi. non è pensabile che se si fosse ritenuto il contrario la legge avrebbe tralasciato le clausole che figurano nel 54.

Dovere funzionale di esporsi al pericolo. La regola del 1° C.P.V. è mal congeniata. Presa alla lettera sembrerebbe prescrivere che chi è titolare di un dovere giuridico di esporsi al pericolo, non possa usufruire dello stato di necessità come delineato dal 1° 54: in pratica l’intera clausola di giustificazione sarebbe esclusa quando ad invocarla fosse chi ha il dovere funzionale di affrontare alcuni pericoli. Ora per Gallo non c’è dubbio sull’impossibilità di ricorrere alla scriminante quando il danno cagionato fosse altrimenti impedibile, ma è sufficiente riflettere a quel che comporta il portare un dovere giuridico di esporsi a certi pericoli, per capire che la disposizione non si applica a questi soggetti solo se agiscono per salvare la propria persona (esempio: pompiere che si sottrae alla minaccia di crollo di un edificio sacrificando per salvarsi 2 pericolante: inconcepibile). Quando invece il detentore del dovere abbia una condotta volta ad evitare il pericolo di un danno grave all’altrui persona, in questo caso la sua condotta non è egoistica che trascura gli obblighi propri alla funzione, bensì intervento volto ad impedire il danno agrave a un terzo.

Soccorso di necessità. Esso è consentito quando il bene sacrificato valga meno di quello salvato. La situazione che si inquadra quindi è quella della disparità di valore tra quanto si offende e quanto si difende: ci si chiede se sianlo le uniche configurabili in un soccorso di necessità. Inzialmente No per Gallo: ci sono infatti ipotesi in cui i beni-interessi che vengono a confligere appaiono dello stesso valore: vita dell’uno verso quella dell’altro. L’ipotesi che riassume è la zattera che può sorreggere un solo corpo su cui giaccia svenuto un naufrago su cui cerchi di salire un altro. L’azione di chi si trovi su una tavola vicina anch’essa unux capax verso quello che vuole salire è della serie: salvo uno o salvo l’altro. Ma in realtà essa realizza il sacrificio di na vita in una situazione in cui, se non intervenisse il terzo, 2 sarebbero i morti. Quindi non equivalenza tra offesa e salvataggio (che si tradurrebbe con l’indifferenza), bensì per l’ordinamento netta opzione per il mare di sicuro minore.

In part.: il requisito della non volontaria causazione del pericolo. sovvengono riflessioni al 1° 54. Questa disposizione sembra considerare rette dalle stesse condizioni (1° ipotesi) sia lo stato di necessità per salvare se stessi che (2° ipotesi) il soccorso di necessità. Tra le 2 ipotesi c’è però molta differenza per ciò che riguarda la clausola della non volontaria causazione del pericolo. Infatti secondo Gallo riguardo la prima ipotesi, l’argomentazione svolta a proposito della fattispecie del 1° C.P.V. deve esser allargata a ogni ipotesi in cui si agisca per difendere la persona altrui. Infatti non avrebbe senso precludere il ricorso alla scriminante al soggetto postosi volontariamente nella situazione da cui scaturisce il pericolo, quando agisca per impedire il prodursi di un danno grave all’altrui persona. Bisogna precisare qui la struttura della clausola negativa per affrontare poi se abbia rilevanza (e quale) la condotta di chi abbia volontariamente cagionato il pericolo. La legge menziona come oggetto di volontà il pericolo: volere il pericolo significa volere l’evento proibito (almeno nel dolo eventuale). Se voglio una costellazione di elementi sapendo che essi sono un pericolo, non posso non rappresentarmi e volere l’evento o gli eventi che ne possono derivare, non potendo quindi invocare lo stato di necessità anche se ritenessi di agire per salvare un terzo. (esempio: il capo cordata vuole uccidere Tizio. Manomette uno dei suoi attacchi della corda a cui è attaccato. All’ultimo si aggancia un 3°. In questo caso il capo cordata risponde di dolo intenzionale per chi voleva ammazzare, e di dolo diretto per chi ha partecipato all’ascensione, non potendosi per quest’ultimo appellare al soccorso di necesità se ha fatto in modo di salvare la persona terza, sacrificando la vittima designata. Risponderà di omicidio doloso ( per l’evento letale) e delitto tentato (con l’attenuate del recesso attivo) rispetto all’alpinista in cui non c’era dolo intenzionale se ha impedito la sua morte). Quindi non aver volontariamente cagionato il pericolo significa non aver volontariamente posto in essere la condotta da cui discende la situazione di perciolo: se tale situazione ha costituito oggetto di rappresentazione/volontà, non è questione di applicabilità del 54 e l’imputazione degli eventi causati avverrà secondo regole generali. Bisogna poi prendere in considerazione riguardo la condotta che da luogo al pericolo, anche quando essa si qualifichi come colposa (dovuta a imperizia, imprudenza, negligenza ecc). Ad esempio l’automobilista che si impegni in una manovra azzardata. per non schiacciare un passante, sterza e colpisce un’altra persona accanto alla prima. Egli non risponderà a titolo di dolo delle lesioni: ma non andrà esente dall’accollo per colpa dell’evento. Quindi per Gallo la “causazione volontaria del pericolo” quando ci sia dolo verso la persona salvata, esclude il soccorso di necessità. Quando c’è colpa consente l’applicazione della scriminante, permanendo l’accollo per colpa.

Necessità di evitare il danno grave alla persona. Secondo una dottrina lo stato di necessità esige la consapevolezza da parte del soggetto agente dell’attualità del pericolo di danno grave alla persona secondo questa argomentazione: lo stato di necessità non sarebbe causa di giustificazione ma una causa che, senza escludere illiceità della condotta, si limita a scusare chi l’ha posta in essere. In questo modo la sua applicazione è condizionata dalla consapevolezza dello stato di pericolo, mentre assurdo apparirebbe ravvisare una scusante per chi abbia ignorato le condizioni in presenza di cui si realizza un fatto illecito. Questa opinione ha la sua forza nel fatto che lo stato di necessità non esclude l’antigiuridicità del comportamento, ma costituisce solo un’attenuante. A questo punto si potrebbe aprire un discorso sulla possibilità di contrapporre scusanti, non inerenti la persona del colpevole, di un comportamento che rimane penalmente antigiuridico a cause che, per contro, giustificano il comportamento. Ma sembrerebbe stupido avviarci lungo questa strada, che sovrapporrebbe il concetto della regola all’interno del sistema penale. Una prima obiezione alla psicologicizzazione del requisito della costrizione nasce dal constatare che la terminologia normativa è la stessa sia nella legittima difesa che nello stato di necessità. In ambo i casi si legge: costretto dalla necessità… Pochi hanno ritenuto che ciò non abbia un significato oggettivo, ma solo funzionale. E da questa considerazione si conclude che un contesto linguistico formalmente identico deve avere ugual contenuto tanto al 52 che al 54. L’argomento non è decisivo però, in quanto il linguaggio normativo non ubbidisce a regole fisse o costanti. Può frequentemente assegnare distinti significati a formulazioni che si presentano ugualmente. Detto ciò si deve riconoscere che la valenza puramente oggettiva dell’espressione in esame come appare dal 54, emerge dal confronto con il 384 (falsa o reticente testimonianza per salvare se o un prossimo congiunto). Questa scriminante contempla il fatto commesso per salvare da un grave nocumento alla libertà e all’onore sé stessi e un prossimo congiunto. Il soccorso di necessità può invece attuarsi a tutela di qualsiasi persona terza quindi di chiunque.Ci si chiede a questo punto se la condotta posta in essere per evitare un danno grave alla propria persona vada discriminata solo quando il soggetto agente sia consapevole del pericolo incombente (in pratica una distinzione nello stesso 54). A questo punto in pratica ci sarebbe una netta contrapposizione. A favore però della lettura del 54 per cui la costrizione ha un valore oggettivo sta il rilievo decisivo che da questa norma la punibilità è esclusa in caso di equivalenza degli interessi in conflitto, o addirittura, come avviene in non pochi casi di soccorso/necessità, di prevalenza anche quantitativa degli interessi salvati rispetto a quelli sacrificati. Questa situazione è lontana da quella che rappresenta il quadro generale dell’esimente dell’art 384.

Necessità determinata dall’altrui minaccia. L’ultimo del 54 contempla l’ipotesi che lo stato necessità sia determinato dall’altrui minaccia. Questa norma ha 2 scopi: evitare che chi ha cagionato col suo comportamento minaccioso l’illecito vada esente da sanzione e porre le premesse per la soluzione di un problema di concorso di reati. Per quanto riguarda la struttura della situazione del 3° 54, è chiaro che la minaccia dà vita allo stato di necessità se ne pone in essere ogni requisito. Quando la minaccia non è minaccia di pericolo attuale di un danno grave alla persona propria o altrui, se non se ne realizza ogni elemento necessario allo stato di necessità, la minaccia potrà rappresentare una causa di attenuazione della pena, ma sicuramente non scrimina. Si è voluto dar rilievo al caso della minaccia innanzitutto per non lasciar impunito l’illecito perpetrato e per prevenire dubbi sulla configurabilità di un concorso di reati. Il 3° 54 dispone che del reato posto in essere dall’esecutore materiale risponde chi ha attuato la minaccia e a questo risultato non si sarebbe sempre potuto arrivare alla stregua dei principi sul concorso di più persone nel reato. Questi principi vogliono che sia posto in essere ogni elemento costitutivo dell’offesa contenuto nel reato. In part l’offesa troverà compiuta esecuzione quando essa concerna interesse soggettivi. Infine, in virtù del 3° 54 la responsabilità di chi abbia fatto la minaccia è fuori discussione: anche quando l’offesa, contenuto del reato, sia caratterizzata dalla trasgressione di un dovere funzionale facente capo al pubblico ufficiale e non all’autore della violenza morale.

Art 611 C.P. questo punisce il comportamento violento o minaccioso volto a costringere o determinare altri a commettere un reato (norma che trova applicazione indipendentemente dalla circostanza che il soggetto passivo della coartazione abbia realizzato il fatto criminoso). Gli interessi tutelati da 54 e 611 sono distinti: il 3° 54 tutela l’interesse del soggetto passivo del reato a cui uno è stato costretto da minaccia costitutiva di stato di necessità (esempio: Tizio costringe Caio a falsificare una scrittura privata). Il delitto di cui al 611 è un delitto verso la libertà morale: punendo chi usa violenza o minaccia di farlo per costringere uno a commettere un reato, si tutela l’interesse alla libera determinazione di chi subisce violenza o minaccia.

Estensione per analogia del 54. A taluno sembra che il 54 debba esser analogicamente integrato. In casi di particolare gravità del danno incombente, si è proposta un’operazione di aggiustamento per analogia sulla base dell’asserita identità di ratio che la situazione prevista dalla legge (danno grave alla persona) e quella non espressamente prevista (danno ad altro dir) presenterebbero. Ad esempio Tizio che vede andare a fuoco un museo disabitato e per spegnerlo spacca vetro facendo reato importante. Ma il procedimento analogico è comunque inaccettabile. Se infatti riprendiamo gli articoli sulla legittima difesa e sullo stato di necessità: nel primo è stabilito che si può agire a difesa di qualsiasi diritto proprio o altrui. E’ evidente quindi la volontà di limitare l’ambito di applicazione dello stato di necessità rispetto a quello della legittima difesa. E’ quindi evidente la volontà di limitare l’ambito di applicazione dello stato di necessità rispetto a quello della legittima difesa. In conclusione possiamo dire che le ipotesi che dovrebbero dar luogo a uno stato di necessità guadagnato per via analogica si risolvono in esercizio di facoltà legittima, costituita e disciplinata dagli art 2028-2032 nel caso della “gestione di affari”.

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