1. natura onnicomprensiva della fattispecie, per cui si inserisce nel fatto di reato tutto ciò che concorre alla comminazione della sanzione, comprese quindi le condizioni che si pongono quindi come elementi della fattispecie anche se estranei alla condotta (così Cocco). Punibilità come quarto elemento del reato, che si aggiunge al fatto tipico, antigiuridico e colpevole.
  2. Le condizioni sono collocate nel fatto, ma si distingue tra il nucleo centrale di elementi da cui dipende la rilevanza (potenziale) del reato e un complesso di elementi marginali da cui dipende l’efficacia attuale; qui si troverebbero le c.o.p.
  3. Movendo dalla lettera dell’art.44 (che si riferisce a un fatto già qualificato come reato, e quindi commesso da un autore già qualificato come colpevole) la c.o.p. è estranea al reato.

 

LE CAUSE DI NON PUNIBILITA’

La punibilità ha grande rilievo pratico nella previsione delle c.n.p. e specialmente nelle c.n.p.s.: qui la non punibilità deriva da un accadimento posteriore alla realizzazione del fatto tipico.

Sono di creazione dottrinale, mentre il codice parla di “estinzione del reato”, ma tutte le c.n.p. hanno dei punti comuni: possono essere condotte antagoniste al modello di reato, tipizzate specialmente nella figura del recesso dal tentativo e prevalentemente si riferiscono a reati di pericolo (astratto o concreto) o a c.d. consumazione anticipata o lesiva di beni di natura funzionale posti a tutela anticipata di beni sostanziali; oppure si riferiscono a condotte risarcitorie e/o restitutorie o reintegratorie rispetto a reati di danno.

In entrambe le categorie viene riconosciuto l’effetto della non punibilità.

Non sono c.n.p. né le cause di estinzione del reato, né le cause di estinzione della pena contenute nella parte generale del codice.

Bisogna indagare sul perché si fa largo uso delle c.n.p., e prima di tutto si deve rilevare la causa: la crisi dei reati di evento e la conseguente diffusione degli illeciti di pericolo o posti a tutela di beni funzionali.

L’uso delle c.n.p.s. risponde all’esigenza di adeguare il sistema sanzionatorio (specie nella fase comminatoria) alla peculiare natura degli illeciti in considerazione, riguardo ai quali è auspicabile il generale abbandono della utilizzazione della sanzione detentiva.

In particolare quindi bisognerà fare in modo di diminuire l’intervento penale estremo della detenzione, e per questo sono prospettate diverse possibilità:

  1. affidamento al diritto sanzionatorio amministrativo di gran parte degli illeciti in considerazione;
  2. prevedere cause obiettive di punibilità in cui si distinguono due fasi: prima l’individuazione del fatto tipico, antigiuridico e colpevole, e poi la previsione di un ulteriore evento, la cui assenza o presenza, rispettivamente, impedisce che si realizzi la punibilità o no. Qui ovviamente la punibilità è intesa come un autonomo elemento nella teoria generale del diritto;
  3. c’è poi una terza possibilità, non attuabile concretamente al momento, che prevede che ci sia la redazione del progetto alternativo sulla riparazione o risarcimento del danno principalmente quindi riguardo ai reati di danno: qui la riparazione sostituisce l’applicazione della sanzione penale tradizionale, se non risulta questa necessaria ai fii della prevenzione generale o speciale.

Si vuole quindi coprire il vuoto esistente nelle strategie di controllo tra la mera reazione punitiva e l’assenza di reazione, inserendo un livello punitivo intermedio e sostitutivo delle classiche reazioni (la riparazione).

Ma il dubbio principale sta proprio nel fatto che la riparazione ha ragion d’essere solamente di fronte a un danno, e quindi in questo contesto non avrebbe molto senso visto che il problema di uno strumento alternativo alla detenzione si pone non per quelle fattispecie lesive di beni sostanziali, ma come strumento di anticipazione della tutela o di tutela di beni funzionali.

Quindi per utilizzare la riparazione bisognerebbe uscire dagli schemi classici della composizione privata del conflitto di interessi tra autore del reato e vittima, e uscire anche dagli schemi tradizionali della restituzione del bene sottratto o della rimessione in pristino del bene danneggiato o ancora del risarcimento del danno, mentre qui il fine è quello di eliminare il pericolo o il rischio per i beni sostanziali creato con la condotta sanzionata, eventualmente anche con la lesione di beni funzionali.

Occorre in sostanza rivalutare le modalità attraverso cui si intende realizzare l’intervento preventivo, restituendo alla sanzione detentiva un effettivo ruolo sussidiario, sia attraverso strumenti extrapenali, sia con strategie dissuasive penali.

Ma guardando bene, la soluzione della depenalizzazione tout court incontra forti resistenze ad affermarsi, in primo luogo per le insufficienze del controllo amministrativo, così come il problema di un sistema penale ad azione obbligatoria e con un eccesso di incriminazioni in astratto in cui è inevitabile che si introducano meccanismi (sostanziali e procedurali) di correzione, di elusione e aggiramento dell’obbligatorietà (patteggiamento, indulti, prescrizioni). Ma tutto ciò comporta l’aumento di quei meccanismi di disapplicazione delle sanzioni inflitte dalla sentenza di condanna e che gravemente incrinano l’effettività dell’intero meccanismo sanzionatorio.

Serve quindi una soluzione che prenda le distanze dalla pena detentiva e l’attuazione concreta del principio di sussidiarietà, magari davvero riconducendo alla sfera amministrativa le fattispecie di pericolo astratto.

Ma ora come ora, la non punibilità appare come la giusta risposta ai nuovi illeciti della postmodernità e ad alcuni reati di danno.

La n.p.s. sembra rispondere ai canoni e al ruolo di estrema ratio del diritto penale, e dunque al principio della sussidiarietà e frammentarietà, nonché ai principi di legalità, colpevolezza e finalismo rieducativo della pena, del principio di offensività (particolarmente problematica proprio qui, di fronte a reati di pericolo e a fatti che non costituiscono aggressione diretta di beni sostanziali), e infine al principio di certezza della pena e della sua applicazione.

Con tutto ciò si soddisfano i fini sia di prevenzione generale che speciale, escludendo che si tratti di una politica premiale quella che ammette la non punibilità di fronte a c.n.p.s. a carattere restitutorio o risarcitorio: quel che si ottiene, è la concreta mancanza di un reale pericolo o danneggiamento del bene protetto, escludendo quindi la necessità di una pena successiva, dal momento che in realtà le esigenze di prevenzione generale e speciale sono state realizzate.

C.N.P.S. – Desistenza volontaria dall’azione (art. 56) nel delitto tentato, in cui chi avendo iniziato a realizzare la condotta tipica, volontariamente non la porti a compimento (viene quindi a mancare solo l’elemento della punibilità).

Si avvicina a questo principio anche il recesso attivo (volontario impedimento dell’azione) considerato circostanza attenuante ma che presenta forti analogie con le c.n.p.s.; poi nella parte speciale sono previste altre cause sopravvenute, tutte sulla stessa linea della desistenza (pagg. 67 e ss.), impedimento di azione criminosa, scioglimento associazione criminale, adempimento precedente alla condanna, procurata cattura dell’evaso, matrimonio riparatore per i delitti contro la libertà sessuale (abrogato).In comune hanno tutte gli stessi fattori:

  • è un comportamento specularmente antitetico rispetto a quello punito, al punto che “la tipicità del fatto di reato finisce col delineare automaticamente la speculare ipotesi di ravvedimento”;
  • l’eliminazione del pericolo o del danno causato;
  • l’irrilevanza dell’infruttuosità dello sforzo, se non concretatosi;
  • la volontarietà della condotta desistente, rimanendo invece irrilevante la spontaneità della stessa o la sussistenza di motivi soggettivi specifici.

PERCHE’ SI PUNISCE IL TENTATIVO, E POI SI RISPONDE CON ISTITUTI DELLA NON PUNIBILITA’? tutto è dato dall’affacciarsi di teorie che in un fine estremamente general preventivo valutano con “un occhio di riguardo” chi desiste dall’azione criminale.

Quindi si è diffusa la teoria dei ponti d’oro secondo cui si intende favorire la ritirata di chi desidera retrocedere negli atti esecutivi già iniziati e punibili, che si è tradotta nella teoria dellincentivo, tramite cui l’offerta di impunità incentiva l’autore ad abbandonare il tentativo prima della consumazione del reato, a salvaguardia del bene giuridico.

Questa teoria ammette la desistenza ma non premia lo sforzo serio e volontario diretto ad evitare la consumazione, benché infruttuoso per ragioni estranee alla volontà del soggetto.

Poi c’è una giustificazione tecnico-giuridica che parifica la desistenza al tentativo, e per cui a mancare sarebbe proprio la condotta illecita realizzatasi (il pericolo è eliminato, o la volontà criminale si riduce o sparisce totalmente).

Più recentemente vigono le teorie premiali secondo cui la impunità costituisce un premio concesso alla desistenza e fornisce una tutela in extremis alla vittima del delitto (ma questa teoria si limita a fotografare la regolamentazione legale senza spiegarne le ragioni).

MEGLIO LA TEORIA che vede nell’istituto della n.p.s. il fondamentale principio della sussidiarietà in quanto prende atto del venir meno degli scopi di prevenzione generale e speciale della pena, e considera la volontarietà della desistenza come un abbandono volontario della situazione di antigiuridicità precedentemente esteriorizzata, un ritorno alla legalità: è una volontà criminosa non radicata e che non rappresenta un esempio pericoloso per gli altri.

Inoltre si è già verificata l’eliminazione del pericolo al b.g., il che comporta la completa eliminazione anche della violazione della norma, a cui non consegue alcun turbamento generato nella comunità.

Chi desiste non merita né ha bisogno di pena perché non vi sono ragioni di prevenzione generale o speciale che la giustifichino. Quel che conta è la conseguita tutela dei beni (diversamente quindi dalla funzione delle cause di estinzione del reato in cui prevale un interesse alla non applicazione della pena per varie ragioni di opportunità, non avendo quindi riguardo all’interesse specifico leso dal reato).

Simile è anche l’istituto di carattere generale previsto per i reati di competenza del giudice di pace, definito come estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie che collega l’estinzione del reato alla riparazione del danno, alla restituzione o risarcimento, o alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose prima dell’udienza di comparizione davanti al G.d.P.. Anche qua il fine di tutela del b.g. è stato raggiunto.

Diverse dalle c.n.p.s. sono quelle tecniche di costruzione della fattispecie incriminatrice per cui il reato non è compiuto (fictio iuris) sino allo scadere di un termine entro cui può essere realizzata una contro azione (domanda di sanatoria, risarcimento, bonifica di un sito inquinato) la cui effettuazione impedisce l’integrazione del reato.

Questa subordinazione all’evento che se si realizza impedisce la realizzazione della fattispecie (secondo me) ha la stessa struttura delle c.o.p.

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