Consiste nel fatto di chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito al suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione (art. 580).

Sotto il profilo giuridico in passato anche il suicidio era punito (influenza religiosa), e questo in nome dell’obbligo di vivere verso se stessi o verso gli altri. Nella maggior parte dei moderni diritti penali, al contrario, il suicidio è esente da pena, rimanendo sanzionate unicamente le attività ad esso correlate, appunto l’istigazione e l’aiuto al suicidio. Circa il motivo della non punibilità del suicidio tentato o mancato molteplici sono le posizioni:

  • inopportunità pratica della punizione: pur considerandosi il suicidio un disvalore, la pena, oltre a rivelarsi inefficace a frenare l’intento, può agire come spinta alla programmazione del piano suicida in modo da assicurarne il successo;
  • mera libertà negativa di fatto: il suicidio tentato, non essendo vietato o garantito come diritto di libertà, viene percepito in senso neutralistico dallo Stato;
  • diritto al suicidio, desumibile dal fatto che la Costituzione tutela la vita umana come diritto e non come dovere.

Nel nostro ordinamento il suicidio (come l’esercizio della prostituzione) appare riconducibile alla categoria dei fatti giuridicamente tollerati: pur costituendo un disvalore, infatti, non viene punito, a prescindere dalla sua effettiva verificazione. Tale disvalore, tuttavia, viene espresso da chiari indici:

  • l’art. 579, che incrimina l’omicidio del consenziente (cosiddetto suicidio per mano altrui);
  • l’art. 580, che incrimina le attività istigatrici o ausiliatrici del suicidio.

Si pone quindi un’inevitabile alternativa:

  • o si riconosce la legittimità del suddetto sistema normativo del suicidio, e allora occorre coerentemente concludere che il suicidio è giuridicamente ritenuto un disvalore e perciò soltanto tollerato (es. punibilità delle attività istigatrici);
  • o si ritiene che il suicidio si elevi a diritto e allora, coerentemente, si accettano tutte le paradossali conseguenze che ne derivano (es. liceità delle attività istigatrici, liceità del suicidio per mano altrui, applicazione della legittima difesa a favore dell’aspirante suicida che reagisce contro chi tenta di impedire il suicidio).

Analizzando l’art. 580 rubricato istigazione o aiuto al suicidio, possiamo desumere i caratteri principali del reato:

  • il soggetto attivo è chiunque (reato comune);
  • il soggetto passivo è il suicida o il mancato suicida, istigato o agevolato;
  • circa l’elemento oggettivo, la condotta rientra nella categoria delle condotte partecipative, ossia di adesione all’altrui comportamento, consistendo nella partecipazione all’altrui suicidio, che può essere:
    • partecipazione psichica (o morale), nella duplice forma:
      • del determinare altri al suicidio, ossia nel far sorgere nel soggetto il proposito suicida prima inesistente;
      • del rafforzare l’altrui proposito di suicidio, ossia nel rendere più fermo il proposito suicida già esistente;
  • partecipazione fisica (o materiale), consistente nell’agevolare in qualsiasi modo l’esecuzione dell’altrui proposito criminoso.

La ratio della maggior gravità del delitto dell’art. 579 rispetto a quello dell’art. 580 sta nel fatto che il primo costituisce, almeno sul piano dell’esecuzione materiale, pur sempre un omicidio, anche se attenuato rispetto all’omicidio come, mentre il secondo si esaurisce in un’attività istigatrice o agevolatrice di un fatto altrui che resta, anche esecutivamente, un suicidio;

  • circa l’elemento soggettivo, si tratta di delitto a dolo generico, richiedendosi la coscienza e volontà di determinare altri al suicidio, di rafforzarne l’altrui proposito suicida (serio) o di agevolarne in qualche modo l’esecuzione;
  • l’eventoconsiste alternativamente:
    • nel suicidio del soggetto istigato o agevolato, ossia nell’autosoppressione cosciente e volontaria della vita mediante azione (suicidio attivo) od inerzia (suicidio passivo);
    • nel tentativo di suicidio con conseguente lesione personale grave o gravissima, nel caso di suicidio mancato.

Risulta essenziale per la ratio essendi del delitto in esame la consapevole volontà volta all’autosoppressione, la quale richiede:

  • la consapevolezza dell’atto autosoppressivo (es. risponde di omicidio chi induce altri ad ingerire veleno facendogli credere che si tratti di medicinale);
  • la volontà libera da vizi determinati dall’agente: determinazione e rafforzamento, infatti, non devono consistere in una costrizione o in un inganno;
  • la capacità di autodeterminazione, che l’art. 580 co. 2 si preoccupa di assicurare sancendo l’applicabilità delle norme sull’omicidio se la persona è minore degli anni quattordici o è priva della capacità di intendere e di volere;
  • l’oggetto giuridico è anche qui la vita, tutelata pure contro gli altrui atti istigatori o agevolatori della propria autosoppressione;
  • l’offesaconsiste:
    • nell’ipotesi di suicidio riuscito, nella distruzione della vita (reato di danno);
    • nell’ipotesi di suicidio mancato, nella messa in pericolo della vita (reato di pericolo);
    • la perfezione si ha nel momento e nel luogo in cui si verifica il suicidio (morte) o la lesione grave o gravissima da suicidio mancato. Il tentativo di istigare o agevolare il suicidio non è punibile, dato che non è punibile neppure il più grave fatto dell’avvenuta istigazione o agevolazione seguita da suicidio mancato, ma senza lesione grave o gravissima.

Il reato è aggravato se la persona istigata, eccitata o aiutata (art. 580 co. 2):

  • è minore degli anni diciotto (art. 579 n. 1);
  • è persona inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica per un’altra infermità o per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti (n. 2).

Trattamento sanzionatorio: il reato è punito di ufficio:

  • nelle ipotesi del suicidio avvenuto, con la reclusione da 5 a 12 anni;
  • nell’ipotesi del suicidio mancato, ma di lesione grave o gravissima, con la reclusione da 1 a 5 anni;
  • nell’ipotesi aggravata, con l’aumento di dette pene fino ad 1/3.
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