L’acculturazione giuridica consiste in una profonda trasformazione della società attraverso la quale nuove concezioni giuridiche si inseriscono in settori del diritto islamico dove il potere riesce a sottrarre ambiti di applicazione alla shari’a. L’esistenza di questo diritto autoritativo (legale) in concorrenza e contrapposizione al fiqh o al diritto musulmano è un fenomeno che percorre tutta l’esperienza dell’islam. La dialettica tra shari’a e siyasa sar’iyya, in particolare, rappresenta una costante di tutta lo sviluppo giuridico dell’islam:

  • nella fase della formazione del sistema giuridico islamico, il rapporto si risolveva a favore della shari’a, con la subordinazione del potere politico;
  • quando lo Stato islamico assoluto ammoderna il suo apparato, il rapporto dialettico si capovolge e si risolve quasi sempre in favore della siyasa.

Il fenomeno dell’emergere di un diritto autoritativo mostra la scarsa capacità di resistenza della norma sciaraitica quando si trova di fronte ad un potere che ha la capacità di rompere l’equilibrio che la classe dei fuqaha era riuscita a mantenere. L’elemento che caratterizza maggiormente l’acculturazione giuridica, quindi, sta nel rifiuto che la scienza giuridica tradizionale ha sempre mostrato nei confronti del <<diritto che non ha prodotto>>, la norma autoritativa alla quale è stata sempre negata la qualità giuridica.

Il mondo arabo-islamico è stato oggetto di prevalente influenza del sistema europeo continentale o romanista, e solo sporadicamente del sistema di common law. Nel processo di acculturazione si possono quindi individuare tre modelli di codificazione:

  • un modello ottomano, caratterizzato dall’interazione tra un modello normativo francese in materia di diritto commerciale e una condensazione di norme di diritto musulmano di scuola hanafita in materia di obbligazioni e contratti. Il modello ottomano ha avuto un’ampia diffusione, sopravvivendo addirittura allo smembramento dell’Impero ottomano. Tre sono i testi legislativi emanati nel periodo delle Tanzimat che interessano in questa sede:
    • il codice di commercio (1850), che recepisce i libri I e III del code de commerce francese. Consapevole delle lacune che tale codice presentava, il governo ottomano incaricò una commissione di redigere un progetto che fosse appendice e integrazione di quello in vigore. Essa decise di innestare sull’impianto del codice materiali tratti da testi olandesi, spagnoli e portoghesi;
    • il codice di commercio marittimo (1863), il più fortunato dei codici ottomani e l’unico ad essere recepito dall’Egitto, dove è rimasto in vigore fino al 1990;
    • la Magalla (1869-76), denominato anche Code civil ottoman, composto da sedici libri, disposti secondo la tradizionale sistematica utilizzata nelle opere hanafite. L’occidentalizzazione sta solo nella forma esteriore, ossia nella suddivisione in articoli, restando invece il contenuto legato alla tradizione musulmana;
    • un modello egiziano: a differenza del modello ottomano, quello egiziano riproduce la duplicazione napoleonica delle fonti del diritto privato che si realizza in due distinti codici, il codice civile e quello commerciale:
      • il codice civile egiziano, sia misto (1875), sia nazionale (1883), copre un ambito più ristretto del modello a cui si ispira, restando esclusa tutta la materia del diritto di famiglia e di quello successorio. Nel successivo sviluppo, tuttavia, il sistema egiziano mostra una notevole capacità di espansione, divenendo un vero e proprio codice civile arabo e il modello normativo di più ampia diffusione nel mondo arabo. I due codici civili egiziani dipendono dal code civil francese, di cui sono copia compendiata. Accanto ad una pedissequa imitazione, talora ad litteram, talora riassumendo in un unico articolo la materia di più articoli, i redattori si sono rifatti al diritto italiano e belga. Un buon numero di norme, tuttavia, risulta improntato al diritto musulmano. L’art. 30 del codice civile nazionale, ad esempio, stabilendo che <<le servitù sono regolate secondo gli usi locali>> si richiama implicitamente al diritto musulmano;
      • il codice di commercio egiziano (1883) recepisce solo in parte il sistema predisposto dal codice napoleonico. La modifica più importante rispetto al modello è rappresentata dagli artt. 2 e 3, che contengono l’elencazione degli atti di commercio, svincolati da ogni riferimento alla competenza della giurisdizione commerciale quale era nel codice napoleonico. Il codice di commercio marittimo, sia misto (1875), sia nazionale (1883) recepiscono ad litteram il codice di commercio marittimo ottomano;
      • un modello maghrebino: mentre i modelli ottomano ed egiziano sono caratterizzati dalla duplicazione delle fonti del diritto privato, il modello maghrebino (tunisino) è un sistema monocodice, incentrato su un codice delle obbligazioni e dei contratti (1907). Nella sua diffusione in Marocco, tuttavia, tale codice subisce notevoli modificazioni, divenendo il codice delle obbligazioni e dei contratti marocchino, affiancato dai due distinti codici di commercio terrestre (1912) e marittimo (1919):
        • il codice maghrebino, in origine soltanto tunisino, rappresenta un documento legislativo di grande interesse, presentandosi con un impianto romanistico, ma con molte norme estratte da fonti musulmano malikite e hanafite. Il codice venne fortemente criticato perché considerato troppo lontano dal code civil, ma tali critiche non tennero conto dello sforzo di Santillana, padre del testo normativo, di legare l’opera di codificazione alla realtà tunisina, sia considerando norme di diritto musulmano sia tentando di costruire norme generali con un materiale essenzialmente casistico;
        • la variante marocchina è il risultato di un’affrettata opera della Commissione ad hoc che modifica profondamente il modello maghrebino-tunisino: il sistema marocchino, da sistema monocodice, si trasforma in un sistema a tre codice, il codice delle obbligazioni e dei contratti, il codice di commercio e il codice di commercio marittimo.
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