Al riguardo la nostra Corte costituzionale ha cambiato più volte opinione. L’ultimo cambiamento risulta dalla sent. n. 170 del 1984, nella quale la Corte ritiene che il diritto comunitario direttamente applicabile prevalga sulle norme ordinarie interne, sia anteriori che posteriori, e anche che qualsiasi giudice o organo amministrativo debba disapplicare le leggi dello Stato nel caso di conflitto con una norma comunitaria direttamente applicabile (interpretazione ex art. 11 Cost.). In precedenza la tesi affermata dalla Corte era che le leggi contrarie a norme comunitarie direttamente applicabili concretassero una violazione indiretta dell’art. 11 e che pertanto fossero costituzionalmente illegittime. Questa tesi, tuttavia, fu fortemente criticata dalla Corte comunitaria per i suoi effetti paralizzanti: di fronte ad una norma di legge interna incompatibile con un regolamento comunitario, infatti, gli operatori giuridici interni non avrebbero potuto applicare la norma comunitaria prima che la legge fosse annullata (es. caso Simmenthal).

Con riferimento ai rapporti tra diritto comunitario e norme costituzionali, Conforti, in un suo scritto del 1966 ( Diritto comunitario e diritti degli Stati membri ) ritenne che:

  • la partecipazione dello Stato alle Comunità europee non potesse comportare la rinuncia a priori ad ogni difesa dei principi costituzionali, tanto più in quanto le garanzie a tutela del cittadino restavano affidate al diritto di ciascuno Stato membro e non al diritto comunitario;
  • il diritto comunitario non dovesse sfuggire al controllo della Corte costituzionale, così come non vi sfuggiva il comune diritto dei trattati;
  • tale controllo costituzionale dovesse tuttavia esercitarsi cum grano salis, ossia a salvaguardia delle sole norme materiali della Costituzione (diritti fondamentali) e non anche alla luce delle norme strumentali sull’organizzazione dei poteri dello Stato.

Dal 1966 molte cose sono cambiate. In una serie di sentenze assai note, la Corte di Giustizia delle Comunità ha ritenuto che la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo non sia estranea al diritto comunitario. Tale prassi della Corte ha poi trovato riconoscimento nel Trattato di Maastricht, il quale stabilisce all’art. 6 par. 2 che l’Unione europea rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quali risultano dalle costituzioni comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario (es. Carta di Nizza del 2000). Parallelamente allo sviluppo della descritta tendenza della Corte, anche la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana ha finito per attestarsi su posizioni europeistiche. Con la sent. n. 183 del 1973 la Corte ha così stabilito che l’ordine comunitario e l’ordine interno costituiscono due sistemi distinti e separati anche se coordinati tra loro.

La Corte costituzionale italiana, tuttavia, ha recentemente ripreso una certa distanza da quella comunitaria: con la sent. n. 232 del 1989, infatti, si è riservata la possibilità di verificare se una qualsiasi norma del Trattato CE non venga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana.

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