Equità

Si discute se sia fonte di norme internazionali l’equità, definita come il comune sentimento del giusto e dell’ingiusto. A detta del Conforti, a parte la c.d. equità secundum legem, ossia la possibilità di utilizzare l’equità come ausilio interpretativo, la risposta deve essere negativa.

L’equità svolge un ruolo importante nell’ordinamento inglese, ma la prassi internazionale non avvalla una trasposizione sic et simpliciter dell’esperienza inglese nel diritto internazionale. Risulta quindi da escludere non solo l’equità contra legem, ossia contraria a norme consuetudinarie o pattizie, ma anche l’equità praeter legem, diretta a colmare le lacune del diritto internazionale: se il diritto internazionale è lacunoso, infatti, significa che gli Stati non hanno obblighi da osservare o diritti da pretendere.

L’equità deve essere inquadrata nel procedimento di formazione del diritto consuetudinario: se si esamina la giurisprudenza, infatti, ci si rende conto che spesso il ricorso all’equità si atteggia come una sorta di opinio necessitatis, avendo luogo nel momento in cui una norma si va formando o modificando:

  • i Tribunali interni, quando ricorrono a considerazione di equità, influiscono direttamente sulla formazione delle consuetudini, ma in maniera relativa, dal momento che si tratta di una decisione che, per quanto possa essere autorevole, proviene da un singolo Stato;
  • i Tribunali internazionali, se ricorrono a considerazioni equitative, influenzano in maniera indiretta ma assai incisiva la formazione delle consuetudini;
  • la Corte internazionale di giustizia, infine, produce un’influenza assai rilevante: tale Corte, infatti, esprime l’opinio iuris sive necessitatis della massima organizzazione mondiale.

Frammentazione del diritto internazionale

Si dice che la moltiplicazione delle istanze giurisdizionali internazionali, con la possibilità di decisioni discordanti, mini l’unità dell’ordinamento internazionale. Tale pericolo, tuttavia, non sembra sussistere se la giurisprudenza viene inquadrata come qui la inquadriamo: sulle interpretazioni delle sentenze, infatti, è la prassi degli Stati che opererà la scelta definitiva

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