Gli edifici di culto, detti anche templi, oratori, cappelle, sinagoghe, moschee o chiese, sono quei luoghi in cui i fedeli di una determinata confessione esercitano, sia singolarmente che collettivamente, le loro funzioni di culto. Lo Stato qualifica gli edifici di volta in volta, sulla base di una valutazione che tiene conto dell’uso, della destinazione e degli interessi che soddisfa.

L’edificio di culto comprende anche i locali accessori.

In passato la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di salvaguardare il più possibile la destinazione del bene-chiesa al normale culto. Espressione di questa tendenza è una legislazione che va dal secolo scorso fino ai nostri giorni.

Gli artt. 9 e 10 del Concordato del 1929 escludevano gli edifici aperti al culto da requisizioni o occupazioni e da demolizioni, tranne che per gravi necessità pubbliche e previo accordo con l’ordinario diocesano; inoltre, salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare per l’esercizio delle proprie funzioni negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”.

La legge 121/1985 ribadisce le disposizioni del precedente Concordato, e le intese con le confessioni acattoliche contengono in materia principi analoghi.

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