I fini del matrimonio si devono sempre intendere quali fines ipsius operis (dello stesso matrimonio) e non fines operantis (cioè fini che i contraenti devono riproporsi nel contrarre matrimonio). È valido ad esempio il matrimonio tra due coniugi che a causa della sterilità di una di esse non potranno generare prole, mentre non è valido il coniugio tra due persone che non si attengono al fine del mutuum adiutorium e del remedium concupiscentiae.

Il can. 1013 del Codice Pio-benedettino del 1917 stabiliva tre fini del matrimonio, di cui uno primario e due secondari. Il fine primario era quello della procreazione della prole a cui si integra quello di educazione della prole. I fini accessori si concretano nell’aiuto materiale e morale che i coniugi devono prestarsi. Il secondo fine è dunque quello del mutuum adiutorium che, al contrario del fine principale, non riguarda l’intera società, ma la coppia. Questo secondo fine, a differenza di altre concezioni non cattoliche, afferma la parità tra uomo e donna e la reciproca interdipendenza che il matrimonio genera tra loro. Il terzo fine del matrimonio è quello del rimedio alla concupiscenza. In esso si afferma un’esigenza né sociale né particolare della coppia, ma individuale, data dalla necessità di appagare l’istinto sessuale in modo lecito.

Se i fini del matrimonio si devono considerare come fines ipsius operis e non come fines operantis i nubenti possono avere altri scopi nel contrarre il vincolo matrimoniale, del tutto differenti da quelli indicati dal Codice.

La teoria della gerarchia dei fini imposta dalla dottrina della Chiesa fu aspramente criticata da due teologi tedeschi, Erberto Doms e Bernardino Krempel.

DOMS => L’uomo e la donna sono fatti per completarsi a vicenda nella prima comunione di vita. L’atto coniugale ha come scopo la realizzazione dell’unità dei due corpi, con il quale i due sposi fanno reciprocamente dono di sé stessi in un’attività che contiene l’abbandono e la gioia di tutta la persona, e non una semplice attività di organi. Il piacere sessuale ha un valore altamente percettivo, in quanto strumento e compimento di un’unione così intima. In tal modo la generazione e l’educazione della prole sono una conseguenza dell’unione matrimoniale, e quindi possono essere solo fini secondari.

KREMPEL => L’essenza del matrimonio è un patto che dà origine ad una società, cioè una relazione mutua e reale, una congiunzione che riceve la propria fisionomia dal suo fine specifico, che non può che essere l’unione vitale e la comunione di vita dei due sessi, ordinata al perfezionamento della persona. Il fine primario del matrimonio non può che essere quindi che l’unione vitale dei due sessi, perché la natura spinge l’uomo e la donna a tale comunione di vita nella quale essi trovano soddisfazione, piacere e completamento reciproco.

Contro queste dottrine Pio XI emanò l’Enciclica Casti connubii del 31 dicembre 1930, con la quale riaffermava la tradizionale gerarchia dei fini e la prevalenza assoluta della procreazione e della educazione della prole sugli altri fini secondari.

Dopo le emanazioni conciliari e la promulgazione del Codice del 1983 è venuta a cadere la gerarchia dei fini matrimoniali. Il can. 1055 § 1 del Nuovo Codice equipara il bonum coniugum e la generatio et educatio prolis.

L’amore coniugale costituisce il contenuto del bonum coniugum in suo principio rappresentando uno dei principi potenziali dell’essenza del matrimonio;allo stesso modo il bonum prolis in suo principio rappresenta l’altro principio potenziale contenuto nell’essenza del matrimonium in fieri ( foedus matrimoniale ) . Entrambi gli elementi costituiscono i fini del matrimonium in facto esse, ed in tale consortium totius vitae si realizzano ed attuano.

Ora dall’essenza individuata occorre tenere distinte le proprietà essenziali che, pur non costituendo l’essenza delle cose, sono necessariamente connesse con questa, identificandola in rapporto a qualunque entità.

Una plurisecolare opinione sosteneva che gli elementi che compongono la sostanza del matrimonio sono il diritto all’atto coniugale procreativo, la fedeltà e l’indissolubilità. Se l’amore coniugale è entrato a far parte dell’essenza del matrimonio, è entrato anche nella sostanza dello stesso, per cui parlare di essenza del matrimonio con annesse le proprietà dell’unità e dell’indissolubilità significa parlare anche di sostanza matrimoniale comprendente – oltre al bonum coniugum e al bonum prolis – anche le proprietà essenziali del bonum fidei e del bonum sacramenti.

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