Al vertice europeo di Maastricht (9/10 dicembre 1991) fu decisa l’adozione del Trattato che venne poi perfezionato sul piano formale nelle settimane seguenti e firmato nella stessa città il 7 febbraio 1992.

Il Trattato crea una Unione europea avente finalità politiche generali e, insieme, una Unione monetaria dai contorni assai più precisi. Quest’ultima, consistente nell’introduzione – peraltro necessaria per molte ragioni – di una moneta unica europea, era fortemente desiderata dalla Francia per alleggerire la tensione che provocava nella sua economia la competizione con il marco tedesco. Per la Germania significava invece la rinuncia ad una moneta che rappresentava il simbolo della solidità dell’economia e della stessa nazione tedesca. Essa aveva tuttavia bisogno della cooperazione francese per ricostruire le zone economicamente devastate della Germania orientale (la DDR, «comperata», da un punto di vista economico, con il cambio del marco orientale 1 a 1) e, come sempre, per esorcizzare il nazionalismo che aveva prodotto un fenomeno come Hitler.

Così, nel quadro della partnership Kohl-Mitterrand – fondamentale per gli sviluppi della cooperazione europea negli anni ottanta e novanta – i due progetti dell’unione politica e di quella monetaria furono varati con successo.

Con i 18 Protocolli e le 33 Dichiarazioni che lo integrano, il Trattato di Maastricht si presenta come un testo di notevole estensione e di lettura non sempre facile. Le disp<vk>osizioni che lo compongono sono articolate in sette «Titoli», ed ordinate con lettere dell’alfabeto (Art. A, B, C, ecc.; il Trattato di Amsterdam ha sostituito le lettere con i numeri) anziché con la numerazione, consueta negli atti internazionali. Si tratta di disposizioni in parte a sé stanti, in parte destinate a sostituire o ad integrare articoli dei trattati CE (anche qui le «novelle» contrassegnate da lettere sono state trasformate in numeri nel nuovo testo adottato dal Trattato di Amsterdam), CECA, Euratom.

L’attenzione degli esperti e dell’opinione pubblica si è fermata prevalentemente sull’istituenda Unione economica e monetaria (UEM) con l’istituzione di una moneta unica e di una banca centrale unica tra il 1997 e il 1999 in 3 «fasi».

La prima fase si è iniziata il 1° luglio 1990, con la piena libertà di circolazione dei capitali nella maggior parte degli Stati membri. La seconda ha avuto inizio il 1° gennaio 1994: in essa si è avuta la costituzione dell’Istituto monetario europeo (IME) incaricato di approntare la terza fase dell’Unione restringendo i margini di fluttuazione delle monete ed armonizzando i tassi d’interesse in modo da realizzare la «convergenza» delle economie (il che non significa l’uniformità completa: ciò che si voleva evitare era soltanto un divario eccessivo delle varie economie). La terza fase era prevista – ed è stata attuata – al 1 gennaio 1999 con l’introduzione della moneta unica (euro e non più ecu), le monete nazionali rimanendo in circolazione ancora per qualche anno (come suddivisioni «non decimali» dell’euro), in maniera che la gente si abitui a contare in euro e per non dovere riadattare di colpo tutte le macchinette a moneta. Con il primo gennaio 2002 vennero emesse le banconote e le monetine in euro e sono scomparse le monete nazionali.

La terza fase dell’Unione economica e monetaria (UEM) prendeva intanto corpo secondo un programma stabilito dal Consiglio europeo di Madrid del 15-16 dicembre 1995 sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Commissione.

Ancor prima della designazione degli Stati ammessi a partecipare all’Unione, la Commissione ha predisposto due regolamenti che successivamente il Consiglio ha adottato: il regolamento n. 1103/97 del 17 giugno 1997 relativo a talune disposizioni per l’introduzione dell’euro, applicabile in tutti gli Stati membri, e il regolamento n. 974/98 del 3 maggio 1998, relativo all’introduzione dell’euro, applicabile solo negli Stati membri dell’UEM.

Il primo atto enuncia i seguenti principi fondamentali: a) sostituzione dell’euro all’ecu (ogni riferimento all’ecu contenuto in uno strumento giuridico dev’essere inteso come un riferimento all’euro sulla base di un tasso di 1 a 1); b) continuità dei contratti (l’introduzione dell’euro non influenza in alcun modo la vita dei contratti e degli altri strumenti giuridici quali norme, atti amministrativi, decisioni giudiziarie etc.: non dispensa dal loro adempimento né attribuisce ad una parte il diritto di modificarli o di porvi fine unilateralmente); c) adozione di tassi di conversione con riferimento ad un euro espresso in ciascuna delle monete nazionali (senza quindi un tasso di conversione bilaterale tra monete nazionali definito in maniera diretta).

Il secondo regolamento, che venne adottato soltanto dopo la determinazione degli Stati partecipanti all’Unione, disponeva che «a decorrere dal 1° gennaio 1999, la moneta degli Stati membri partecipanti è l’euro» (art. 2) e che «l’euro sostituisce, al tasso di conversione, la moneta di ciascuno Stato membro partecipante». Esso prevede la messa in circolazione di banconote e di monete metalliche in euro (le monete anche in cent) dal 1° gennaio 2002 (artt. 10-11). A partire da questa data l’euro è diventata la sola moneta avente corso legale in tutti gli Stati partecipanti.

Il 3 maggio 1998, deliberando in conformità con l’art. 109J, n. 4 (numerazione di allora), il Consiglio, riunito nella composizione dei capi di Stato o di governo (cioè senza le usuali deleghe ai ministri degli esteri, dell’agricoltura, dei trasporti etc.) ha deciso la designazione degli Stati membri dell’UEM ammettendo 11 dei 15 membri della Comunità: Belgio, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia (l’ordine è quello alfabetico ufficiale della Comunità, dato dalle iniziali di ogni Stato membro nella sua propria lingua).

Nella stessa decisione il Consiglio accertava che il Regno Unito e la Danimarca si erano avvalsi della facoltà di non passare alla terza fase dell’UEM, mentre la Svezia e la Grecia non avevano soddisfatto le condizioni necessarie (la Svezia, per la verità, ha preferito non aderire). La Grecia è stata autorizzata successivamente ad aderire con una decisione del Consiglio europeo del giugno 2000..

A tutti i non ammessi è stato riconosciuto lo status di «Stati membri con deroga». Sulla base dell’art. 109K (ora 122), almeno una volta ogni due anni può essere attivata una procedura intesa a stabilire quali Stati membri con deroga possono entrare a far parte dell’Unione.

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