La direttiva è lo strumento principe per la CE per quanto riguarda la legiferazione in ambito ambientale; le direttive sono quasi sempre self-executive, ovvero sono molto dettagliate e, se non vengono attuate dagli Stati Membri, dopo un certo periodo di tempo dispiegano comunque i propri effetti.

In origine la CE non aveva competenze in materia ambientale: il Trattato di Roma del 1950 conteneva non norme specifiche, ma solo norme di natura programmatica. Le prime costituzioni in Europa che per prime si occupano di ambiente sono quella portoghese (1976), che parla di un “diritto ad un ambiente salubre ed ecologicamente equilibrato”, e quella spagnola (1978), che riconosce agli individui il diritto ad un ambiente adeguato allo sviluppo della persona. Si sono fatti dei tentativi anche in Italia, per esempio aggiungendo all’art. 9 Cost. un riferimento all’ambiente e all’ecosistema o, addirittura, alla tutela della dignità degli animali (ci fu un grosso dibattito perché solitamente la dignità è un concetto fortemente legato alla sfera umana). Tutti i progetti, comunque, sono naufragati.

Ma allora, la CE come ha acquisito competenze? Il primo intervento è stato di natura programmatica, attraverso i cosiddetti piani d’azione in materia ambientale (a partire dagli anni ‘70). Non si tratta, quindi, di atti normativi ma solo di atti programmatici attraverso cui la CE si pone degli obiettivi a medio-lungo termine di salvaguardia ambientale. Il primo piano d’azione risale al 1973 ed è di durata quinquennale: introduce in campo comunitario alcuni principi già inseriti in ambito internazionale (prevenzione, contrasto ai danni provocati all’ambiente). Il secondo andò dal ’77 all’ ’81 e affrontò nuove problematiche, come quella della regolamentazione dell’utilizzo di sostanze pericolose (di lì a poco, verrà adottata la cosiddetta normativa Seveso, dal nome di una cittadina in provincia di Monza e Brianza nella quale un incidente in una fabbrica provocò la fuoriuscita di diossina). Il terzo (’81-‘85) inizia ad introdurre nuovi concetti (come quello dell’informazione), il quarto (1987) continua a sancire questa elaborazione di principi e, in particolare, ricorda l’importanza dello strumento di valutazione di impatto ambientale. Il quinto (1993) offre grande spazio ai problemi della responsabilizzazione degli operatori economici, attraverso il meccanismo della cosiddetta responsabilità condivisa: quando, in un’attività potenzialmente o realmente pericolosa per l’ambiente, intervengono più soggetti, per tutelare l’ambiente si ritengono responsabili tutti questi soggetti (è una soluzione volta ad evitare il fenomeno dello “scaricabarile”). Altro concetto ribadito in questo piano d’azione è quello della rilevanza degli strumenti di natura economica: si tratta di strumenti standard nel contenuto, che non hanno l’obbligo di essere attuati; se vengono attuati, però, portano dei benefici di carattere organizzativo o, addirittura, strategico (il consumatore, infatti, è sempre più attento ai problemi ambientali).

Il sesto e ultimo (è del 2001 ed ha durata decennale, quindi fino al 2010) individua 4 aree d’intervento della CE:

  1. Tema del cambiamento climatico: prende atto degli atti internazionali che sono stati posti in essere negli ultimi tempi;
  2. Tema della biodiversità: si intende l’esigenza di garantire la diversità fra le diverse specie vegetali e animali, che l’inquinamento mette in pericolo;
  3. Tema dell’ambiente-salute: si fanno stretti i rapporti fra l’esigenza di tutela dell’ambiente e di salvaguardia della salute dell’uomo; assume importanza il problema delle sostanze chimiche;
  4. Uso sostenibile delle risorse: si recepisce il principio dello sviluppo sostenibile, in questo caso con particolare riferimento al preservare le risorse naturali, per esempio mediante il riutilizzo di materiali, che permette il risparmio delle materie prime (si guardi alle politiche comunitarie sui rifiuti che prevedono sia il riutilizzo degli stessi come materia prima per produrre nuovi materiali – recupero di materia -, sia l’utilizzo del rifiuto come fonte energetica –recupero energetico -) o mediante il riutilizzo delle acque reflue (le acque utilizzate per una determinata attività possono tornare utili per diverse altre, operando così un risparmio della risorsa energetica: per esempio, le acque utilizzate per un ciclo produttivo possono essere riutilizzate per il raffreddamento degli impianti industriali).

Questo per quel che riguarda le attività di natura programmatica; se, invece, pensiamo a come la CE si è progressivamente appropriata di competenze in materiale ambientale bisogna considerare diversi passaggi. La base giuridica è, sostanzialmente, frutto di un escamotage, ed è stata individuata nelle disposizioni volte al ravvicinamento delle normative dei vari Stati membri finalizzata alla salvaguardia del diritto di concorrenza: se all’interno degli Stati membri esistevano delle normative in materia ambientale (e il più delle volte era così), queste normative avrebbero potuto incidere sulla concorrenza e portare a delle distorsioni sulla concorrenza stessa.

Il primo atto che riconosce espressamente una competenza CE in materia ambientale è l’Atto Unico Europeo del 1987, che introduce un Titolo denominato, appunto, “Tutela dell’ambiente” (artt. 174-176; l’art. 174, in particolare, introduce i principi del diritto dell’ambiente in ambito comunitario).

I primi atti degli anni ’70 hanno riguardato i tre settori centrali del diritto ambientale:

  • Inquinamento idrico: furono emanate la direttiva 76/464/CEE (direttiva quadro), cui si sono aggiunte altre direttive settoriali (per esempio, quella sull’inquinamento da nitrati), e la direttiva 2000/60/CE (sempre direttiva quadro), con cui si istituisce un quadro comune per l’azione comunitaria in materia di acque (tra l’altro, molte risultano nominate nel d.lgs. 152/2006);
  • Inquinamento atmosferico: anche qui ci furono sia direttive di carattere generale che direttive di carattere settoriale (come quelle sui clorofluorocarburi);
  • Gestione dei rifiuti: il primo atto fu la direttiva 75/442/CEE (abrogata poco tempo fa), seguita a breve distanza da un direttiva del ’78 sui rifiuti tossici. Questa fu parzialmente abrogata da una direttiva dell’89 sui rifiuti pericolosi. Entrambe sono state abrogate dalla direttiva 2006/12/CE (non ancora recepita in Italia) sulla gestione generale dei rifiuti.

Ci sono, comunque, altri settori nei quali si dipana l’attività normativa comunitaria: situazione particolare è quella della Valutazione d’Impatto Ambientale, di cui l’Unione si è occupata ancor prima dell’AUE, con la direttiva 75/377/CEE (direttiva quadro). Altro settore importante è quello acustico: qui siamo in presenza di una legislazione lenta, inizialmente nata solo per contrastare specifiche sorgenti sonore (oltre agli aerei, ci fu una normativa che addirittura contemplava i tosaerba); successivamente fu emanata la direttiva 2002/49/CE, di carattere generale in materia di rumore (la novità consisteva proprio nel fatto che le precedenti direttive erano tutte settoriali). Altra norma importante è quella in materia di danno ambientale (tutela risarcitoria in caso di danni all’ambiente), la direttiva 2004/35/CE, recepita in Italia solo con il d.lgs.152/2006 (comunque esisteva già una normativa in materia, la l. n. 349/86, con la quale, tra le altre cose, si istituiva anche il Ministero dell’Ambiente).

Non esiste, invece, nonostante il nostro Ordinamento già lo preveda, una normativa comunitaria sulle bonifiche dei siti inquinati; come non esiste per l’inquinamento elettromagnetico (cosiddetto elettrosmog). Il nostro legislatore, anche in questo caso, si è attivato anche senza impulso comunitario, con la l. n. 36/2001 (legge quadro). Il motivo per cui la CE non si è occupata in materia, se non con normative settoriali, è da ricercarsi nella momentanea incertezza scientifica per quanto riguarda i danni causati da radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti.

Ci sono anche dei casi in cui la CE interviene con regolamenti, come nel caso della spedizione transfrontaliera di rifiuti: il primo è il regolamento n. 259/93, poi sostituito da uno recente del 2006. Altri esempi possono essere quello dell’EMAS (sistema di ecogestione ed ecoaudit) o quello in materia di sicurezza chimica (cosiddetto sistema “Reach”).

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