La sentenza che pronuncia l’annullamento oppure che accerta la nullità del matrimonio fa venire meno il vincolo e gli effetti dello stesso, in alcuni casi retroattivamente, cioè dal momento della celebrazione, in altri da quando la sentenza è diventata definitiva.

Generalmente, l’estinzione retroattiva degli effetti deriva dalla mala fede dei coniugi, cioè dalla conoscenza che essi avevano avuto al momento della celebrazione dell’esistenza di una causa di invalidità del matrimonio.

Effetti riguardanti figli: la prole nata dal matrimonio annullato o dichiarato nullo rimane legittima, anche se c’è la malafede dei genitori. In questo caso, quindi, la pronuncia non ha efficacia retroattiva, a meno che l’invalidità del matrimonio fosse dovuta alla mancanza di libertà di stato (figli adulterini) oppure a legame di parentela o affinità non dispensabile (figli incestuosi) i figli hanno lo status di naturali riconosciuti, purché il riconoscimento fosse consentito dalla legge.

Se invece i genitori erano in buona fede, i figli nati dal matrimonio invalido o quelli nati precedentemente (purché riconosciuti anteriormente alla pronuncia di invalidità) conservano lo stato di legittimi.

Dopo l’annullamento, bisogna procedere all’affidamento della prole: in questo caso si applicano i criteri previsti in materia di separazione e divorzio e le stesse regole si applicano anche per l’esercizio della potestà.

Effetti riguardanti i coniugi: i coniugi in buona fede conservano i diritti acquistati col matrimonio fino alla pronuncia definitiva d’annullamento o alla dichiarazione di nullità. I coniugi, invece, in mala fede perdono questi diritti con effetto retroattivo, fin dal momento della celebrazione.

A favore del coniuge in buona fede è dovuta un’indennità risarcitoria per i danni che gli sono derivati dopo aver contratto il matrimonio invalido. Queste indennità deve essere corrisposta dall’altro coniuge o dal terzo ai quali sia imputabile l’invalidità stessa.

Il risarcimento è dovuto anche nel caso in cui uno dei coniugi ha contratto matrimonio con volontà viziata da violenza o timore(per imputabile s’intende che il coniuge o un terzo abbia tenuto un comportamento commissivo o omissivo, contrario al generale dovere di correttezza, che ha contribuito alla celebrazione del matrimonio).

Il risarcimento è dovuto, a prescindere dalla prova dell’esistenza del danno e dalle condizioni economiche del danneggiante.

L’ammontare minimo è pari al mantenimento del coniuge per tre anni, ma il giudice può liquidare parte anche un risarcimento superiore.

Il coniuge responsabile è anche tenuto a prestare gli alimenti all’altro, se questo viene successivamente a trovarsi in stato di bisogno e non ci siano altri obbligati in grado di corrispondervi (in quanto il coniuge responsabile si colloca all’ultimo posto nella graduatoria degli obbligati).

Assegno di mantenimento: se entrambi i coniugi erano in buona fede, la legge prevede la possibilità che il giudice possa disporre, a carico di un coniuge ed a favore dell’altro, un assegno di mantenimento per la durata massima di tre anni dall’annullamento. Presupposti dell’assegno sono:

  • La mancanza di redditi e sostanze adeguate a garantire ad uno dei coniugi un livello di vita uguale a quello goduto durante il matrimonio;
  • La possibilità economica dell’altro coniuge di corrispondere l’assegno stesso.

Questa è un’ipotesi eccezionale in cui gli effetti del matrimonio continuano a prodursi nonostante l’annullamento e trova giustificazione nella volontà di voler evitare un brusco cambiamento del tenore di vita del coniuge non abbiente.

Il diritto all’assegno si estingue se vengono meno i presupposti indicati ed, in ogni caso, col passaggio a nuove nozze del coniuge che dovrebbe percepire l’assegno.

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