Nella Costituzione repubblicana, l’obiettivo del superamento della subalternità dei lavoratori è stato reputato talmente importante da far conferire ai medesimi (art. 40) il diritto di accompagnare o di proseguire sul terreno sociale quelle battaglie che pure avevano titolo ad intraprendere utilizzando i canali della democrazia parlamentare. Con la consacrazione di un siffatto secondo canale di rappresentanza, appunto lo sciopero, si rendeva onore a quel movimento dal basso che sin dall’Ottocento aveva dato vita ad una spontanea reazione collettiva nei confronti del predominio economico e sociale della borghesia industriale.

Una volta riconosciuto il diritto al conflitto sociale, tuttavia, esso rimaneva non facile da istituzionalizzare, ossia da inserire nei meccanismi fisiologici di una società civile tendente ad una pur relativa pacificazione. Fu la filosofia di Marx che permise di ravvisare nello sciopero, sotto forma di lotta di classe, un carattere endemico delle società europee, fondate su rapporti antagonistici di produzione. Tale concezione sociale, irriducibilmente conflittuale, ha comunque continuato a farsi sentire anche quando si è trovata priva dello sbocco rivoluzionario prospettato da Marx. Lo sciopero, infatti, è stato in seguito accettato anche all’interno di teorie liberali della società, ovvero di teorie di ispirazione pluralistica, secondo le quali il conflitto fra gruppi di interesse deve essere considerato un dato permanente delle società e, come tale, perfettamente compatibile con la sopravvivenza delle medesime.

A partire dagli anni ’80, lo sciopero ha attraversato numerose mutazioni:

  • per un verso, con la diffusione, in seno alle parti sociali, di atteggiamenti generalmente più collaborativi, il peso dello sciopero è fortemente diminuito.
  • per un altro verso, il peso dello sciopero si è accresciuto nel settore dei servizi (essenziali). Tale settore, in particolare, è stato l’unico ad essere stato oggetto di una regolazione legislativa dello sciopero, la quale è stata determinata dall’esigenza di proteggere i diritti degli utenti dei servizi bloccati.

La terziarizzazione ha fortemente mutato, la fenomenologia dello sciopero, mettendo in crisi, in qualche misura, le teorie pluralistiche in precedenza evocate.

A fronte di tali asimmetriche tendenze, nuove nubi si stagliano all’orizzonte del diritto di sciopero, anzitutto in ragione dell’incidenza che potrebbero avere sulle sue possibilità di esercizio i principi delle libertà economiche garantite dal diritto comunitario.

Sull’appeal dello sciopero può pesare la crescente diffusione di due principali idee:

  • società complesse come quelle in cui viviamo non possono permettersi il lusso di non limitare, in una misura da stabilire, il ricorso al conflitto.
  • le residue possibilità di vincere le sfide economiche risiedono nell’adozione, da parte di tutti i consociati, di comportamenti cooperativi e partecipativi piuttosto che conflittuali.

In conclusione, quindi, si è di fronte ad uno scenario complesso, nel quale lo sciopero è stato ormai pienamente integrato nel sistema costituzionale, divenendo una pietra miliare dell’ordinamento liberale e democratico.

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