L’efficacia erga omnes del contratto collettivo

L’altra aspirazione del sindacato dei lavoratori è quella di una applicazione non solo vincolante, ma anche generalizzata del contratto collettivo.

Vigente l’ordinamento corporativo, la legge, conferendo i sindacati corporativi la rappresentanza legale di tutti gli appartenenti alla categoria, aveva adottato il contratto collettivo di una efficacia generale.

Caduto l’ordinamento corporativo, la costituzione prevede un contratto collettivo efficace per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale si riferisce, ma, tale previsione non è stata attuata dal legislatore ordinario.

L‘estensione dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo ad opera della giurisprudenza

La giurisprudenza ha cercato di dare una soluzione al problema dell’estensione dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo. Ciò almeno in due modi:

a) uno è stato quello di prendere le mosse dalla disposizione dell’art. 36 Cost.., dove la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Nel sistema vigente il giudice determina la retribuzione utilizzando il trattamento retributivo previsto dagli attuali contratti collettivi.

b) l’altro è stato quello di non condizionare i tale efficacia esclusivamente alla iscrizione del datore di lavoro al sindacato stipulante. A tale iscrizione è stata ritenuta equivalente sia l’applicazione di fatto del contratto collettivo sia applicazione di alcuni soltanto degli istituti regolati in sede sindacale.

L‘estensione dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo ad opera del legislatore

Dopo circa dieci anni dall’entrata in vigore della costituzione repubblicana e constatata l’impossibilità di attuare l’art. 39 Cost., il legislatore ritenne di dover provvedere alla soddisfazione dell’interesse pubblico a che tutti lavoratori cogliessero di un minimo di trattamento economico e normativo.

La legge 14 luglio 1959, n. 741 delegò il governo ad emanare decreti legislativi per stabilire i minimi di trattamento economico e normativo che dovevano essere garantite a tutti i lavoratori.

Con la legge n. 1027 del 1960 si ebbe l’impressione che questa avesse fatto nemmeno originario carattere di transitorietà della disciplina di cui trattasi, tendendo quali introdurre un sistema che realizzava gli stessi effetti.

La corte costituzionale supera quei dubbi, con riguardo la legge n. 741 del 1959 a condizione che si fosse trattato di un sistema provvisorio. Dichiarò quindi incostituzionale la legge n. 1027 del 1960.

I giudici non solo potevano condannare il datore di lavoro che non avesse rispettato i trattamenti minimi normativi, ma per condannarlo al pagamento delle differenze di trattamento economico non dovevano più fare riferimento al principio dell’art. 36 Cost., in quanto decidevano un’azione di inadempimento a un obbligo previsto dalla legge.

Il parere degli anni ha finito per rendere inadeguati i minimi di trattamento economico che, nel corso degli anni successivi, erano stati periodicamente rinnovati e quindi prevedevano retribuzioni più elevate.

In questa relazione, la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della legge n. 741 del 1959 nella parte in cui non consente al giudice di dare applicazione alla art. 36 Cost., facendo riferimento ai vigenti contratti collettivi di diritto comune.

Ne deriva un ulteriore dilatazione dell’azione del giudice volta ad estendere l’efficacia soggettiva del contratto collettivo.

Deve ritenersi che la contrattazione collettiva ad efficacia generale tutte le volte che la stessa legge la abilita a disporre in deroga alla disciplina in essa contenuta.

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