Quello dell’efficacia soggettiva è il problema di gran lunga più grave che la mancata attuazione dell’art. 39 ha lasciato al diritto sindacale post-costituzionale. Con tale problema, l’analisi discende dal piano collettivo a quello individuale, dal momento che ci si domanda verso chi (impresa o lavoratore) il contratto collettivo sia giuridicamente produttivo di effetti giuridici, ossia efficace (ci si chiede se il contratto collettivo metalmeccanico si applichi alla Fiat, in quanto impresa automobilistico/ metalmeccanica, e ai suoi lavoratori dipendenti).

Se fosse stata attuata la seconda parte dell’art. 39, la questione sarebbe stata risolta in radice dal fatto che il contratto collettivo metalmeccanico, stipulato dalla rappresentanza unitaria dei sindacati registrati, avrebbe avuto efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria (efficacia erga omnes). In mancanza, come detto, i principi giuridici che hanno consentito di fondare e disciplinare l’efficacia giuridica del contratto collettivo sono stati tratti dal diritto privato.

L’istituto impiegato allo scopo è stato, prevalentemente, quello della rappresentanza (art. 1388). Ricostruire in tali termini l’efficacia del contratto collettivo presupponeva che si configurasse l’adesione di una parte (impresa o lavoratore) al rispettivo sindacato, come atto di conferimento di un mandato a rappresentarne gli interessi tramite la stipula del contratto collettivo. Tuttavia, la trasposizione della rappresentanza, istituto tipicamente individuale, in una dimensione come quella sindacale-collettiva era un’operazione tutt’altro che scontata. Dato che il sindacato non può curare gli interessi individuali di ciascun lavoratore uti singulus, al fine di rendere compatibile il ricorso alla rappresentanza con la tipicità sociale dell’autotutela sindacale, la dottrina ha elaborato la tesi secondo cui il sindacato/ rappresentante si prende cura dell’interesse <<collettivo>> dei lavoratori, inteso come sintesi di essi. Con l’utilizzo di questa fictio, il sistema, almeno in parte, ha acquisito una certa coerenza concettuale.

La tesi della rappresentanza volontaria è stata a lungo il caposaldo della concezione privatistica del contratto collettivo, tuttavia, quel quid di artificiosità che essa ha sempre avuto ha indotto la dottrina a rivederla, anche per difendere meglio l’istituto dall’attacco delle concezioni <<pubblicistiche>>, secondo le quali il contratto collettivo sarebbe ormai divenuto l’espressione di un potere pubblico. In particolare, si è sostenuto che il fondamento della valenza giuridica del contratto collettivo di diritto comune non è più costituito dalla rappresentanza civilista, quanto piuttosto dal riconoscimento da parte dell’ordinamento (art. 39 co. 1) di autonomia sociali che rimangono private, pur non essendo individuali. Anche secondo questa tesi, comunque, l’efficacia soggettiva del contratto collettivo rimane basata, in ultima analisi, sull’iscrizione del sindacato da parte dei soggetti che lo applicano.

Nella visione privatistica, infatti, e in particolare in quella che fa ricorso alla rappresentanza civilistica, il contratto collettivo è certamente efficace (soggettivamente) nei confronti delle imprese e dei lavoratori affiliati ai sindacati firmatari del contratto. Tale visione, tuttavia, ha lasciato irrisolto il problema dei soggetti non affiliati, ai quali il contratto collettivo non trova applicazione, non essendo essi <<rappresentati>> dai sindacati che lo hanno sottoscritto (differenza rispetto al regime di erga omnes disposto dall’art. 39).

Ciò premesso, occorre esaminare come tale principio operi, rispettivamente, nei confronti dell’impresa e del lavoratore:

  • rispetto alle imprese, la teorica in discorso comporta che:
    • se un’impresa non aderisce ad alcun sindacato, non è tenuta ad applicare alcun contratto collettivo.
    • fra più contratti collettivi astrattamente applicabili, all’impresa x si applica il contratto collettivo stipulato dal sindacato al quale essa stessa ha liberamente aderito (alla Fiat si applica il contratto metalmeccanico non tanto perché essa è un’impresa automobilistica e quindi metalmeccanica, quanto piuttosto perché è affiliata alla Federmeccanica).

Il dato che rileva, quindi, è quello dell’iscrizione dell’impresa ad un dato sindacato, e non la connotazione oggettiva dell’attività produttiva svolta. Ciò significa che l’inquadramento <<individuale>> della singola impresa in una certa categoria è governato dal principio volontaristico, e che, in teoria, è possibile un inquadramento individuale <<innaturale>> (se la Fiat si iscrive alla Federtessile, e non alla Federmeccanica, ad essa si applica il contratto collettivo dell’industria tessile).

L’applicazione dell’art. 2070 co. 1, tuttavia, dettando un principio oggettivo, porterebbe ad una conclusione diversa. Esso, infatti, prescrive che <<l’appartenenza alla categoria, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente svolta dall’imprenditore>>. La questione si è posta anche nel caso di imprese dedite a più di un’attività. Se, infatti, si ritenesse applicabile l’art. 2070 co. 2, occorrerebbe verificare se le due attività sono realmente autonome, o se l’una dipende dall’altra, ed applicare, a seconda dell’esito di tale accertamento, il contratto corrispondente all’attività prevalente. Al contrario, secondo il principio volontaristico, la risposta dipende dal fatto che l’impresa sia iscritta, per ciascuna delle due attività, ai rispettivi sindacati (duplicità contrattuale), oppure che lo sia ad uno solo fra essi (applicabile il contratto da esso stipulato). Sebbene la giurisprudenza abbia subito una forte suggestione da parte dell’art. 2070, gli indirizzi più recenti hanno superato tale posizione, riaffermando il principio volontaristico.

  • rispetto al lavoratore, analogamente, la teorica della rappresentanza dovrebbe comportare che, al fine di applicare il contratto collettivo al rapporto di lavoro che lo vede come parte, non dovrebbe essere sufficiente che l’impresa sia affiliata al rispettivo sindacato, occorrendo che anche il lavoratore sia iscritto al proprio.

Non v’è dubbio che se anche il lavoratore (oltre alla controparte imprenditoriale) è iscritto al rispettivo sindacato, il contratto collettivo si applica allo stesso, senza che egli possa sottrarvisi. A parte tale situazione base, comunque, la giurisprudenza ha introdotto importanti correttivi finalizzati a conseguire un’estensione dell’efficacia soggettiva del contatto collettivo anche al di là della cerchia dei lavoratori e degli imprenditori sindacalmente affiliati.

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