Questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli imprenditori, in merito al fatto se tale attività debba ritenersi riconducibile, come quella dei lavoratori, alla tutela costituzionale dell’art. 39, 1° comma, o piuttosto se rimanga nell’ambito della libertà di associazione e di iniziativa economica (artt. 18 e 41 Cost. ), con i limiti del caso.

È opportuno considerare anzitutto le diversità tra l’attività sindacale dei lavoratori e degli imprenditori:

1) Sul versante dei lavoratori, l’attività sindacale è un fenomeno “collettivo”, mentre il datore di lavoro è soggetto sindacale anche come singolo.

2) Il contratto collettivo è inderogabile in peius dai singoli lavoratori, a conferma di una peculiare solidarietà di classe; è invece derogabile dal singolo datore di lavoro, a conferma di una maggiore autonomia del singolo rispetto al collettivo.

Libertà sindacale dei lavoratori parasubordinati e autonomi: i primi trovano spiegazione nel processo espansivo del diritto del lavoro proteso ad estendere le proprie garanzie in direzione di ogni ipotesi di dipendenza sociale ed economica; per i secondi (i lavoratori autonomi), le istanze di tutela “sindacale” dei gruppi professionali, prima confluite all’interno degli organismi professionali, hanno successivamente indotto lo sviluppo collaterale di forme associative di natura privatistici con struttura e finalità peculiarmente sindacali.

Libertà sindacale dei pubblici dipendenti: il riconoscimento della libertà sindacale ai pubblici dipendenti non è mai stato messo in discussione, visto che alla incondizionata portata precettiva della norma costituzionale ha subito fatto riscontro nella pratica il diffuso ingresso del sindacalismo nelle amministrazioni pubbliche; a completare l’opera è intervenuto il D. Lgs. n° 29/1993 che, nel privatizzare il rapporto di pubblico impiego, ha sancito la piena tutela della libertà e dell’attività sindacale nel settore pubblico.

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